«La controffensiva procede, ma è rallentata dalle fortificazioni russe e tra meno di cento giorni l’intera area di attrito tornerà ad essere un pantano, ostacolando le operazioni su entrambi i lati del vasto campo di battaglia», annota l’inviato sul campo, Nello Scavo. Al ritmo attuale potrebbero volerci anni prima che Kiev riesca a mettere al sicuro i confini. E oltre alle dichiarazioni sempre categoriche dei leaders, a Mosca c’è chi spinge per congelare il conflitto accontentandosi del poco ottenuto, mentre a Kiev riconoscono che la controffensiva ‘procede a fatica’. Quasi ferma, e presto impantanata nell’autunno.
Citando fonti dell’amministrazione Usa, il New York Times ha scritto che il numero dei soldati ucraini e russi uccisi o feriti dall’inizio della guerra è di quasi mezzo milione, ma un calcolo preciso è di fatto impossibile. «La nostra impressione – spiega un diplomatico europeo nella capitale ucraina – è che stiano lentamente maturando i tempi perché si possa avviare una fase negoziale, anche se potrebbero volerci settimane prima di un avvio ufficiale e poi mesi prima di ottenere qualche risultato». Diffidenza diffusa nei confronti di Putin e ricerca di mediatori garanti credibili. Con qualche problema di credibilità politica interna anche in casa Ucraina.
Giovedì il presidente ucraino Zelensky ha firmato la legislazione che estende la legge marziale e una mobilitazione militare generale fino a metà novembre. Se la disposizione non verrà revocata, sarà necessario posticipare le elezioni parlamentari nazionali previste per l’autunno. La legislazione ucraina prevede che la legge marziale debba essere prorogata ogni 90 giorni. La costituzione stabilisce che le elezioni parlamentari dovrebbero aver luogo entro il 29 ottobre e le presidenziali all’inizio del prossimo anno. Ma il fronte patriottico, insiste sulla guerra.
Sarà «un autunno difficile», riconosce il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba, e non sono i missili Kinzhal o i carri armati russi a preoccuparlo: sono le pressioni internazionali per spingere Kiev a negoziare la fine della guerra.
Secondo l’Istituto per lo studio della guerra di Washington (Isw), il generale russo Alexandr Khodakovsky, comandante del Battaglione ‘Vostok’, avrebbe suggerito «di congelare la guerra in Ucraina lungo le attuali linee del fronte». Khodakovsky ha anche dichiarato «che la Russia non sarà in grado di rovesciare militarmente l’Ucraina nel breve termine e che è improbabile che le forze russe occupino facilmente altre città ucraine». Di fatto una conferma di quanto già sostenuto dal capo del Gruppo Wagner, Prigozhin. Khodakovsky ha concluso che la Russia dovrà probabilmente giungere a una tregua, in una fase «senza pace né guerra con l’Ucraina».
Fonti russe hanno affermato che «una fazione del Cremlino – riporta l’Isw – è interessata a congelare la guerra lungo gli attuali fronti per ragioni simili, oltre che per le preoccupazioni sulla stabilità politica interna e sulle ricadute economiche della guerra».
«La controffensiva delude, c’è scoramento e ora Kiev accusa gli Stati Uniti», riportava la Stampa in edizione ferragostana. Problemi in casa ucraina già nel dare l’avvio alla controffensiva. Troppe grida politiche rispetto alle concretezze tecnico militari. «Appena però i minimi rifornimenti militari sono giunti dall’estero, si è dato inizio alle operazioni», in una sorta di corsa contro il tempo. Rimaneva però un problema noto agli analisti americani sin dall’inizio, della superiorità numerica militare russa.
Sui futuri F-16, il Washington Post avvertiva già settimane fa che il primo gruppo di sei piloti ucraini completerà l’addestramento non prima di giugno 2024. Frustrazione di Kiev alla vigilia dell’anno e mezzo di conflitto (domani saranno 18 mesi).
«Si fa presto a dire pace. Ma se non è giusta e sicura, da raggiungere con il dialogo e non con le armi», spiega il cardinale Matteo Zuppi alla platea del Meeting di Comunione e Liberazione, «può rivelarsi la premessa di altri conflitti». Il presidente della Cei, a cui papa Francesco ha affidato il compito di individuare una strada di mediazione tra Russia e Ucraina, invita tutti quanti vogliono lavorare ad una via d’uscita dal conflitto scoppiato un anno e mezzo fa a non dimenticare il punto di partenza: «C’è un aggressore e un aggredito. Ma quello che succede oggi ha una storia, ha una lunga preparazione di cui forse non abbiamo piena consapevolezza» sottolinea Zuppi
«Forse troppi hanno sottovalutato che i segni di un possibile conflitto erano già evidenti e visibili quando le armi stavano rinchiuse negli arsenali».