
«L’Iran ha detto agli Stati Uniti che non vuole che la guerra tra Israele e Hamas si intensifichi», annuncia il quotidiano finanziario britannico. Tradotto dal politichese iraniano, ‘noi non intendiamo entrare in questo conflitto’. Etica e preoccupazioni umanitarie? Diamole per buone, un po’ di retorica aiuta se in molti ti etichettano come uno ‘Stato-canaglia’. Però, nel caso del diplomatico iraniano, la sua linea di condotta è dettata da ben altri motivi. Stratega della geopolitica degli ayatollah, fattasi meno ruvida e più temporeggiatrice, pensa che se i tuoi avversari si stanno mettendo nei guai, tu lasciaglielo fare. E tutta l’intervista rilasciata da Abdollayan è una convincente sintesi di ciò che, quasi sicuramente, i teocratici persiani non faranno mai: cioè alzare un dito per difendere i palestinesi.
Questo, ha fatto intendere Alì Khamenei a Biden, grazie alla ‘triangolazione’ della CBS. La verità è che, come dicono numerosi analisti di geopolitica, la piega che hanno preso gli avvenimenti sta mettendo, diplomaticamente parlando, Israele e gli Stati Uniti in un angolo. La reazione militare di Tel Aviv ha passato tutti i limiti: è una vera e propria rappresaglia, che secondo alcuni giuristi sconfina abbondantemente nella casistica dei ‘crimini di guerra’. Hamas è un gruppo terroristico, ma Israele è una democrazia parlamentare. Nessuna analisi comparativa sui comportamenti, può essere accettabile. Giocando sulle oggettive difficoltà di un sistema democratico, a condurre operazioni di guerra in un ambiente urbano degradato, l’Iran ha senz’altro ragione a dire che il tempo lavora dalla sua parte.
Certo, Abdollayan deve anche fare il gioco che gli impone il suo status. Lancia avvertimenti diretti e messaggi trasversali, come quando dice che le milizie islamiche in Siria, Yemen, Iraq e Libano «non sono indifferenti all’uccisione dei loro compagni mussulmani e arabi in Palestina». Utile ricordare uno dei motivi che, fin dai massacri di Hamas, ha fatto temere un veloce e catastrofico allargamento del conflitto. Cioè, i sospettati legami finanziari e operativi tra l’organizzazione politico-terroristica palestinese e il regime degli ayatollah. Per colpire Teheran, sarebbero state necessarie le prove di un complotto allargato, che in effetti non sono mai state trovate. Nemmeno dagli israeliani, i più interessati a esibire le prove della ‘coscienza sporca’ iraniana davanti al mondo. E Abdollayan ha ripetuto alla CBS che «le milizie palestinesi sono completamente autonome e capaci di organizzarsi da sole».
L’Intelligence americana non ha trovato evidenze di un coinvolgimento operativo di Teheran nell’assalto di Hamas. Resta il fatto che, se i legami militari non vengono divulgati, quelli politici invece sono mostrati alla luce del sole. Recentemente, il leader dei miliziani di Gaza, Ismail Haniyeh, ha incontrato la Guida suprema Khamenei a Teheran, discutendo, come riportato dalla tv di Stato iraniana, «degli ultimi sviluppi nella Striscia e sui crimini del regime sionista a Gaza, nonché sugli sviluppi in Cisgiordania». «Khamenei – è stata la replica – ha condannato fermamente i crimini commessi dal regime sionista con il sostegno diretto degli Stati Uniti e di alcuni Paesi occidentali».
In sostanza, il quadro sembra abbastanza chiaro. L’Iran non ha alcuna intenzione di muovere il suo apparato militare, in nessun momento. A meno, aggiungiamo noi, di qualche provocazione clamorosa, che potrebbe venire da ‘miscalculation’, o peggio, essere il prodotto di pericolose divergenze ai vertici dell’establishment politico-militare israeliano.
Diverso è, invece, il discorso che la teocrazia persiana può fare, nelle segrete stanze, per quanto riguarda il controllo delle milizie armate che si muovono in una vasta area della regione. Gli ayatollah esercitano un ‘patronage’, in grado di alimentare una guerriglia permanente. Cioè proprio quello che gli americani, in primis, e anche gli israeliani, temono di più. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, per esempio, una settimana fa nella regione di Deit ez-Zor, riunione di alti ufficiali delle Guardie rivoluzionarie iraniane e capi militari di Hezbollah. In agenda (si dice) non solo possibili forme di sostegno ad Hamas, ma anche alla cosiddetta ‘Resistenza Islamica’, un gruppo combattente che opera in Irak.
Situazione sul campo con gli avversari storici dell’Iran che si sono cacciati nella trappola senza uscita della vendetta. Ma il vero ‘regalo’ che in questo momento Netanyahu sta facendo all’Iran è quello di farlo riavvicinare a tutti i Paesi islamici moderati che lo avevano messo da parte. Più dura la guerra a Gaza, più aumentano i soprusi dei coloni ebrei in Cisgiordania e maggiormente Teheran si avvicina, a lunghe falcate, a tutte le capitali arabe. Non solo. Un altro punto a favore di Abdollayan (e contro Blinken) è il clamoroso ritorno di fiamma tra gli ayatollah ed Erdogan.
Senza sparare un colpo, Khamenei, solo con la sua melensa retorica, sta sfruttando la voragine geopolitica che l’instabilità israeliana e l’incapacità americana, messe assieme, hanno creato. Tante battaglie vinte, senza fare una guerra.