
Presi delle guerre di casa dal vicino Centrasia il nuovo fondamentalismo
Il Tajikistan è come l’Afghanistan dei talebani, ma funziona al contrario: qui la polizia strappa il velo alle donne islamiche che lo indossano, mentre gli uomini che si fanno crescere la barba, circolano a loro rischio e pericolo. Una commissione governativa, infatti, ha stabilito che chi viene pescato per strada «in modo così indecedente» dev’essere rasato, seduta stante. Forse qualcuno riderà, ma non c’è molto da stare allegri. Perché il risultato finale, di questa ‘governance’ fuori misura di barba e di buon senso è alla base della crescita del fondamentalismo islamico terrorista più micidiale di tutti: l’ex Isis. O, per essere più precisi, L’Islamic State ‘K’, da Khorasan, la provincia dell’Asia centrale tra Afghanistan e Pakistan in cui spadroneggia.
Il Tajikistan, ex Repubblica dell’Unione Sovietica, stremato da anni di guerra civile, è rimasto nell’orbita della Russia. E il suo Presidente (a vita) Emomali Rachmon, un ex direttore di azienda agricola dell’epoca comunista, si è adattato al nuovo corso. Ma senza dare grande spazio, diciamo, «alle visioni spirituali della vita». Insomma, dopo una prima fase di difficile convivenza, ha messo fuorilegge il partito (moderato) della Rinascita islamica. Non solo. Il potente ‘Comitato sulla religione’, che gestisce e regola «Tradizioni, Celebrazioni e Cerimonie», si comporta come una specie di Sant’Uffizio laico, supervisionando ogni aspetto del culto e riservandosi l’ultima parola anche per quanto riguarda la costruzione delle moschee.
La repressione della libertà religiosa, si somma alla compressione dei diritti civili e, trova il suo suggello negativo in una situazione economica devastante. Su 10 milioni di abitanti, almeno 2 milioni di tajiki sono stati costretti ad emigrare in cerca di lavoro. Molti di loro si sono trasferiti in Russia. I calcoli ufficiali parlano di circa un milione e 300 mila espatriati, ai quali va aggiunto un numero imprecisato di «non registrati». E proprio la massa migratoria tajika che si reca in Russia, sfruttata e sottopagata, spesso discriminata, rappresenta il serbatoio più ricco dove pescare nuovi affiliati per l’Isis Khorasan. D’altro canto, l’affiliazione dei tajiki al fondamentalismo non è una novità.
Proprio la messa fuorilegge del Partito islamico e la contemporanea avanzata del Califfato, in Siria e Irak, avevano convinto oltre 2000 tajiki a combattere in Medio Oriente. È probabile che molti di loro, tornati a casa, possano costituire ancora una riserva di emergenza e mettersi a disposizione del nuovo terrorismo centro-asiatico. Intanto, Putin cerca di prendere le sue precauzioni. Dopo l’attacco di Crocus sono aumentate le espulsioni di lavoratori tajiki dalla Russia, mentre è stato rafforzato il ‘filtro’ ai confini.
Mosca mantiene in Tagikistan un contingente abbastanza numeroso di truppe (si parla di 7 mila soldati), anche per evitare sorprese nei confronti di un regime, quello di Rachmon, che visto il miscuglio di repressione religiosa, controllo politico e miseria endemica, sembra fatto apposta per alimentare una rivoluzione.