La colonizzazione ebraica senza freni mentre Biden inventa sanzioni inutili

Campagna per le presidenziali negli Usa da una parte, sopravvivenza dell’attuale governo in Israele dall’altra. La decisione blanda della Casa Bianca di imporre sanzioni nei confronti di quattro coloni israeliani in Cisgiordania, assassini non perseguiti, gesto più di politica interna americana che un tentativo vero di fermare la distruzione di Gaza e favorire la creazione di uno stato palestinese indipendente nella Striscia e in Cisgiordania

E né Netanyahu, né il suo ministro delle Finanze, il falco degli insediamenti Bezalel Smotrich, gli danno peso.

Due opportunismi politici in un colpo solo

«Il segnale», così è stato definita la scelta fatta da Biden per cercare di fermare il massacro, e costringere-convincere Netanyahu e la sua coalizione di estrema destra a rinunciare all’idea stessa di annettere, prima Gaza e poi la Cisgiordania, che in Israele convince pochi o non spaventa nessuno.

L’ultradestra teocratica e razzista

Il ministro delle Finanze israeliano, esponente dell’estrema destra, Bezalel Smotrich si è limitato a criticare le sanzioni (tutte ancora da verificare), dicendo «è un peccato che l’amministrazione Biden stia cooperando con una campagna antisemita ritraendo i coloni come violenti in un momento in cui i coloni stanno pagando un prezzo pesante in sangue con i loro figli più preziosi a Gaza».

Gli ha fatto eco il presidente di una comunità di coloni, che ha definito le sanzioni statunitensi emesse giovedì contro i coloni israeliani «un complotto anti-semita».

Colonizzazione in corso e ipocrisia Usa

Proprio in questi giorni sono stati pubblicati alcuni dati importanti sul processo di colonizzazione della Cisgiordania. Nel 2023, il governo israeliano ha creato 12.349 unità abitative in Cisgiordania (esclusa Gerusalemme Est). Un numero record da una quindicina di anni. È stato anche deciso, l’anno scorso, di trasferire la responsabilità delle procedure di pianificazione dal Ministro della Difesa al responsabile per gli Insediamenti, Smotrich.

Netanyahu-Smotrich-Ben Gvir

Secondo l’organizzazione Peace Now, «Il governo Netanyahu-Smotrich-Ben Gvir continua la sua costruzione distruttiva in Cisgiordania…Il governo di Israele inizia il 2024 con un chiaro segnale che si sta dirigendo verso l’eliminazione della soluzione a due stati, nonostante la chiara comprensione che solo questa soluzione può fermare il ciclo della violenza».

Analisi su Haaretz

Dahlia Scheindlin è una consulente politica che ha lavorato a otto campagne elettorali in Israele e in altri 15 paesi. In un’analisi pubblicata dal quotidiano israeliano Haaretz si è riferita alle origini del processo di colonizzazione. «Questa settimana è diventato chiaro il motivo per cui le frange radicali non dovrebbero mai essere sottovalutate. Fu un gruppo di attivisti danzanti e di ispirazione divina che si trasferirono al Park Hotel di Hebron per un ‘seder pasquale’ nel 1968 che formarono il nucleo di quello che in seguito divenne ‘Kiryat Arba’ e il movimento degli insediamenti».

Ideologia tra Coloni e Stato ebraico

«Ma c’è un altro fenomeno troppo spesso ignorato in questo conflitto: la perfetta alleanza tra frange ideologiche e istituzioni dello Stato israeliano. Come ha sostenuto Gershom Gorenberg nel suo libro ‘The Accidental Empire’, che non invecchia mai, è stato il pesante, anche se semi-tacito, coinvolgimento del governo guidato dai laburisti nel primo decennio dopo il 1967 a fornire il sistema di sostegno all’intera economia del progetto coloniale nella sua fase iniziale».

Dai laburisti ai para fascisti

«Cinque decenni dopo, la partnership tra stato e coloni ha reso gli accordi quasi irreversibili, e la partnership è fiorente. Ricordiamo che Smotrich ricopre una posizione ministeriale nel Ministero della Difesa, insieme a Gallant. In quella posizione civile, si è appropriato dei poteri un tempo gestiti dai militari per governare i coloni ebrei israeliani…».

Israele dal Giordano al mare

Fin dal 1967 era chiaro dove Israele stava puntando. Non sarà facile tornare indietro. Per ora si parla molto di possibile, forse imminente tregua e liberazione degli ostaggi, ma sembra che ci sia ancora un enorme divario tra le posizioni di Hamas e Israele. Osama Hamdan, un alto funzionario del movimento islamico a Beirut, ha affermato che il gruppo punta a cessare il fuoco permanente e vuole il rilascio di migliaia di prigionieri palestinesi per atti legati al conflitto con Israele, compresi quelli che stanno scontando l’ergastolo.

Tra di loro Marwan Barghouti, un leader popolare della rivolta palestinese, considerato una figura unificante, capace di sostituire, in eventuali elezioni sia a Gaza che in Cisgiordania, l’attuale presidente dell’Autorità nazionale Abu Mazen.

Oltre Abu Mazen, e ma soprattutto oltre Netanyahu e camerati

Oltre a Barghouti, l’esponente di Hamas ha fatto il nome di Ahmed Saadat, il capo del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, una piccola fazione dell’OLP. Il rilascio del prigioniero è una «causa nazionale», non solo per Hamas, ha spiegato.

Lo è anche in senso opposto, per Netanyahu che respinge l’idea stessa di rilasciare migliaia di prigionieri dalle carceri israeliane e non vuole nemmeno prendere in considerazione quelli condannati per omicidio (dunque no a Barghouti).

 

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