La fine delle favole su inflazione e crisi: la BCE alza i tassi, denaro più caro, ma ancora non basta

La Banca centrale europea ha aumentato il suo tasso di riferimento (che era a zero) dello 0,75%, il livello più alto dal 2011. Con una scelta assolutamente obbligata, visto l’andamento dell’inflazione nell’Eurozona, dove ha toccato il 9,1%. Decisione all’unanimità anche perché i dati sulla crescita sono meno pesanti del previsto. Così si è deciso di prendere di petto l’inflazione, anche a costo di rischiare un trend recessivo.

Prima l’inflazione e dopo la crescita. Previsioni e azzardo

L’Ufficio studi BCE ha ritoccato le sue previsioni di crescita del Pil nell’Eurozona al 3,1%, per quest’anno. Il vero problema si porrà nel 2023 (solo +0,9%) e nel 2024 (+ 1,9%). Certo, gli analisti avvertono che data l’estrema volatilità dei mercati e della situazione internazionale, le previsioni possono anche modificarsi sensibilmente e nel breve periodo. Insomma, non ci si aspetta una recessione “tecnica” (due trimestri consecutivi di calo della produzione), ma una forte frenata. Sempre l’Ufficio studi BCE, però, avverte che esiste anche la concreta possibilità di un’evoluzione molto più critica della congiuntura: un drastico peggioramento della crisi energetica potrebbe determinare, nel 2023, un crollo del Pil fino allo 0,9%.

Se Putin chiude il gas

Come si vede, la fluidità della situazione internazionale e l’incapacità di risolvere la crisi ucraina hanno ridotto le previsioni economiche a livello di lotteria. Tornando al rialzo dei tassi deciso ieri, dal nostro punto di vista, la mossa era ampiamente scontata (come abbiamo scritto lo scorso 1° settembre), visto anche il differenziale significativo’ con i tassi imposti dalla Federal Reserve americana. Anzi, arriva in ritardo e costringerà il Consiglio direttivo dell’istituto di Francoforte a deliberare ulteriori (e dolorosi) rialzi, per “inseguire” la Fed. La politica monetaria americana, infatti, ha generato un poderoso rafforzamento del dollaro, che sta schiacciando tutte le altre valute, a cominciare dall’euro.

Dollaro schiacciatutto

Noi del Vecchio continente paghiamo, la maggior parte delle nostre importazioni di carburante, materie prime e semilavorati, in dollari. In pratica, “importiamo” anche inflazione, perché il prezzo finale dei beni che produciamo si alza. Proprio la velocità dell’escalation inflattiva ha portato la Presidente BCE, Christine Lagarde, ad annunciare ulteriori incrementi dei tassi nei prossimi mesi. D’altro canto, l’incapacità dimostrata finora dalla BCE di difendere il cambio è ormai sotto gli occhi di tutti. È stata una scelta dettata da compromessi di tipo politico e non da valutazioni di teoria economica.

La Banca di troppe diversità economiche

La nostra Banca centrale ha un compito difficilissimo: deve fare politica monetaria in un’area (19 Stati) sviluppata a macchia di leopardo, che non ha un sistema fiscale armonizzato. Così, il 9,1% è una media inflattiva, ad esempio, tra quella italiana dell’8,4% e quella dei baltici che supera il 20%. Ma il contesto politico, sociale, dei servizi pubblici, produttivo e distributivo, è completamente diverso, così come il livello della tassazione. Insomma, la malattia non è dappertutto la stessa e così anche la cura (il rialzo dei tassi) rischia di avere effetti divergenti, neutri se non proprio negativi, nelle specifiche situazioni. Infatti, tassi alti e denaro troppo caro frenano l’economia, fino a farla andare in recessione.

L’America che comanda

Problema che non sembrano avere gli americani, perché il Presidente della FED, Jerome Powell, ha di fatto preannunciato un nuovo rialzo dei tassi entro la fine di questo mese. Dovrebbero arrivare al 3,25%. Costringendo poi la BCE a inseguire, se non vorrà vedere l’euro sotto un dollaro schiacciasassi. L’economia Usa, tutto sommato, ancora tiene bene, crea nuovi posti di lavoro (315 mila ad agosto) e, quindi, non vede il problema di una recessione immediata dietro l’angolo. Poi, quasi lanciando una sorta di messaggio trasversale ai suoi colleghi europei di Francoforte, Powell dice: “La Banca centrale ha e accetta la responsabilità di garantire la stabilità dei prezzi. Dobbiamo agire ora, apertamente, con forza, come abbiamo fatto e dobbiamo continuare a fare, cioè fino a quando il lavoro non sarà terminato”.

Attesa sull’inflazione Usa

La prossima settimana si aspettano i dati sull’inflazione americana, che dopo questa terapia d’urto dovrebbe ridursi intorno all’8%. Un valore ancora troppo alto, che pregiudica le ulteriori possibilità di decollo della prima economia del pianeta. Però, basta fare una piccola analisi comparativa, per accorgersi di quanto precaria sia la situazione europea. L’Eurozona, nel migliore dei casi, avrà una crescita molto lenta. E nel peggiore andrà in recessione. Inoltre, alla fine del mese il differenziale dei tassi tra la FED e la BCE sarà di 250 punti base. Un’enormità. E si dovrà intervenire in qualche modo, per salvare il cambio dell’euro. L’inflazione? Con i tassi decisi a Francoforte, ai minimi, ce la dovremo tenere chissà per quanto tempo ancora.

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