
Nella messa a Ulan Bator c’è anche un gruppo di fedeli con il loro sacerdote dallo Shanxi. Hanno fatto quindici ore in treno per arrivare a Ulan Bator per partecipare alla messa celebrata da Francesco. Accanto un colorato gruppo dal Vietnam agita i tipici cappelli a cono gridando: «Viva il Papa!». Insieme ai cattolici della Mongolia con i vescovi dell’Asia centro-orientale che prendono posto tra le fila dei celebranti, altri fedeli dai Paesi vicini, da Hong Kong, Macao, dalla Thailandia non hanno voluto perdere questo appuntamento. Il penultimo di questo viaggio apostolico in Mongolia. Nella sua omelia il Papa ricorda che il cuore del cristianesimo non sta in nessuna forma di grandezza ma nella generosità che diventa dono per gli altri: «Nei deserti della vita siamo nomadi di Dio». La cronaca di Stefania Falasca su Avvenire, è del credente, ma con la dovuta attenzione alla politica che il papa non dimentica certo.
E alla fine della messa, abbracciando il vescovo emerito di Hong Kong, il cardinale Tong, e il nuovo vescovo Chow (che sarà creato cardinale tra pochi giorni) manda un saluto ai cattolici cinesi. «Invio un caloroso saluto al nobile popolo cinese. A tutto il popolo auguro il meglio! E andare avanti, progredire sempre. E ai cattolici cinesi chiedo di essere buoni cristiani e buoni cittadini. Grazie».
Ulan Bator è a un’ora e cinquantasette minuti d’aereo da Pechino, il centro governativo della Repubblica popolare cinese. Tra i telegrammi papali con benedizioni e preghiere per la pace, la fraternità e l’unità che hanno raggiunto gli undici Paesi sorvolati ieri da papa Francesco per arrivare a Ulan Bator anche quello alla Cina, prima di entrare in Mongolia. «A sua eccellenza, Xi Jinping, il presidente della Repubblica popolare cinese – si legge nel testo –, invio i saluti di auguri a lei e al popolo della Cina mentre attraverso lo spazio aereo del suo Paese in rotta verso la Mongolia. Vi assicuro delle mie preghiere per il benessere della nazione, invoco su tutti voi le benedizioni divine dell’unità e della pace».
Il primo telegramma a Xi Jinping papa Francesco lo aveva già inviato nel 2014 sorvolando la Cina in volo verso Seul. Il Papa aveva indirizzato il telegramma al presidente cinese esprimendo «cordialità» sia al capo di Stato sia al suo popolo, e invocando «la divina benedizione per la pace e il benessere della nazione». Altri tempi rispetto a quando nell’ottobre del 1989, in un viaggio analogo verso la Corea, la Cina negò allora a Giovanni Paolo II anche il permesso di entrare nel suo spazio aereo. E se al telegramma di papa Francesco del 2014 fece seguito il silenzio, dopo questo ultimo telegramma ieri la risposta di Pechino è stata immediata: la Cina vuole «rafforzare la fiducia reciproca» con il Vaticano, ringraziando il Papa per il «messaggio di saluto e di augurio» al presidente Xi Jinping e al popolo cinese, durante il suo passaggio sullo spazio aereo della Cina.
«La Cina è pronta a continuare a lavorare con il Vaticano per impegnarsi in un dialogo costruttivo, migliorare la comprensione, rafforzare la fiducia reciproca», ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin, parlando nel briefing quotidiano. «Pechino promuoverà il processo di miglioramento delle relazioni tra i due Paesi», ha aggiunto il ministro degli Esteri Wang.
Non è un mistero che papa Francesco consideri la Cina nel contesto asiatico una possibile chiave per i processi di pace nel mondo, come indica anche la volontà di inviare nel Paese asiatico il cardinale Matteo Zuppi impegnato nella missione di pace per l’Ucraina che ha già toccato Kiev, Mosca e Washington. Inoltre, l’Accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi in Cina, stipulato il 22 settembre 2018 e rinnovato una prima volta il 22 ottobre 2020, è stato prorogato per un altro biennio il 22 ottobre 2022. E un gesto di attenzione nei confronti della comunità ecclesiale cinese papa Francesco lo ha compiuto giusto lo scorso 15 luglio nominando Shen Bin vescovo di Shanghai – ordinato vescovo nel 2010 con il mandato pontificio e il riconoscimento delle autorità politiche e considerato da tutti un «pastore stimato» – trasferendolo dalla diocesi di Haimen dopo che, su disposizione delle autorità politiche cinesi, il vescovo era stato già insediato alla guida della diocesi di Shanghai seppure la Santa Sede non era stata inizialmente coinvolta nel suo trasferimento.
«Tutti conoscono l’attenzione che papa Francesco porta per la Cina – ha dichiaro il cardinale segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, in un’intervista rilasciata ai media vaticani in vista del viaggio in Mongolia – e posso dire che c’è nel cuore del Santo Padre questo grande desiderio, un desiderio del tutto comprensibile che egli ha manifestato già più volte pubblicamente, di recarsi in quel nobile Paese, sia per visitare la comunità cattolica ed incoraggiarla nel cammino della fede e dell’unità, sia per incontrare le autorità politiche, con le quali la Santa Sede ha stabilito da tempo un dialogo, nella fiducia che – ha affermato Parolin – nonostante le difficoltà e gli ostacoli che ci sono nel cammino, proprio per questa via del dialogo e dell’incontro, più che per quella dello scontro ideologico, si possano raggiungere frutti di bene per tutti».