
A sessant’anni dall’evento lo storico Giovanni A. Cerutti raccoglie gli articoli delle migliori firme del giornalismo italiano usciti nei giorni successivi, lo sconcerto e le riflessioni. Quelle di Enzo Biagi, Luigi Salvatorelli, Raniero La Valle, Furio Colombo, Paolo Monelli, Alberto Ronchey, Giuseppe Lazzati ed Eugenio Scalfari. Una società in divenire sul fronte occidentale, che vedeva nel modello dell’America kennediana un punto di riferimento per alcuni, comunque un progredire per molti.
Nella memoria culturale della nostra epoca, la figura di John Fitzgerald Kennedy resta soprattutto associata all’intricata questione delle responsabilità del suo assassinio, nella convinzione, che anche nelle ricostruzioni più serie sfiora spesso l’ossessione complottista, ci sia qualcosa che sfugge alle ricostruzioni ufficiali, e che ci debba essere un’altra verità. «Così, la figura di Kennedy paradossalmente scompare, la sua azione politica e l’impatto che ebbe negli Stati Uniti e nel mondo scolorano nell’indistinto, il suo ruolo storico e il suo profilo morale non sollecitano più riflessioni utili al nostro tempo», rimprovera Cerruti.
«Quello che aveva colpito nella immagine della Nuova Frontiera era l’inedito collegamento che Kennedy stabiliva tra la politica interna quella internazionale». L’idea che una credibile azione internazionale a favore dei principi liberali dovesse per forza di cose basarsi su una politica interna che avesse al centro la rimozione delle diseguaglianze come naturale conseguenza della centralità dei diritti umani era il racconto ufficiale. Tutte le diseguaglianze, sociali e quelle di origine etnica e razziale. Con qualche esitazione e inciampo di troppo da rimproverare a J.F.Kennedy rimasto vivo.
Il confronto con l’Unione Sovietica tra due modelli di società e di valori ma anche con la consapevolezza, per citare Bernardo Valli, «che la preoccupazione di quello che il comunismo può fare alla democrazia non deve far dimenticare il pericolo che gli stessi democratici possono farle correre sotto la spinta della paura». Da rileggere anche oggi, di fronte a certi modelli di ‘democrazia’ applicati nel mondo, a partire proprio dagli Stati Uniti dopo Kennedy con gli errori incrociati e noti, dal tentato golpe anti castrista alla Baia dei Porci e i successivi missili sovietici a Cuba
Ma la Nuova Frontiera per una parte dell’opinione pubblica italiana non era solamente il progetto politico della potenza egemone del blocco occidentale. Memoria di quei giorni, l‘uscita dal centrismo post degasperiano. Il 4 dicembre avrebbe giurato il primo governo di centro-sinistra organico, e nei quotidiani di quei giorni le notizie dell’attentato sono affiancate a quelle delle trattative per il nuovo governo, con ripetuti collegamenti tra la presidenza Kennedy e la svolta politica in corso: l’attesa di un mutamento del quadro politico e di una modernizzazione complessiva della società italiana.
Di grande valore la lettura di Stefano Luconi sul Manifesto, a 100 anni dalla nascita, il 29 maggio 1917, a Brookline, in Massachusetts, di John F. Kennedy. Da meno di due mesi Washington era entrata nel primo conflitto mondiale e le guerre segnarono profondamente la sua esperienza personale e politica.
Eletto presidente per il partito democratico nel 1960, Kennedy guidò il proprio Paese in uno dei periodi di maggior tensione della guerra fredda.
Nella prima metà degli anni Sessanta, nel Sud degli Stati uniti, la legislazione imponeva ancora la separazione fisica tra bianchi e neri nei luoghi pubblici. Inoltre, alla maggioranza degli afroamericani seguitava a essere impedito di esercitare il diritto di voto, con escamotage legali, intimidazioni e violenze. Ma l’elettorato bianco e conservatore degli Stati meridionali costituiva anche un decisivo serbatoio di voti per il partito democratico, senza il quale non avrebbe ottenuto la presidenza nel 1960. Per lungo tempo dall’entrata in carica Kennedy non volle precludersi la conquista di un secondo mandato nel 1964 e si rifiutò di prendere una posizione netta a sostegno delle rivendicazioni degli afroamericani per la pienezza dei diritti civili.
Si decise a chiedere al Congresso una legge sulla pienezza dei diritti civili soltanto l’11 giugno 1963, a quasi due anni e mezzo dal suo insediamento alla Casa Bianca. Ma Kennedy non visse abbastanza per promulgare il provvedimento, approvato dal Congresso nel luglio del 1964.