L’attacco è cominciato verso la mezzanotte ora locale (le 22 in Italia) ed è stato compiuto da Stati Uniti e Regno Unito ‘con il supporto di Australia, Bahrein, Canada e Paesi Bassi’, ci tengono a riferire. Sopporto logistico, radar e poco altro, ma non armato, il non detto. Bersagli, radar, droni, missili e depositi sotterranei di armi utilizzati dagli Houthi, ma non è chiaro in quali zone dello Yemen.
Quello di questa notte è stato l’ottavo attacco compiuto da una coalizione guidata dagli Stati Uniti nelle ultime due settimane, ed è stato più grande rispetto agli ultimi, durante i quali sono stati colpiti pochi obiettivi, ma comunque meno intenso rispetto al primo, con il quale lo scorso 11 gennaio erano stati colpiti oltre 60 obiettivi militari in circa 30 località diverse dello Yemen.
Il New York Times, scrive di ‘via di mezzo’ adottata dall’esercito statunitense, qualcosa del tipo ‘vorrei ma non posso’. Vorrei colpire ancora più duro, ma non viglia aprire un altro pericolosissimo fronte di guerra. Evitare un’espansione del conflitto nella regione del Medio Oriente, che già a Gaza con Israele, è sfuggito di mano alla politica statunitense.
Bersagli incrociati da parte di tutti. La flotta Usa-GB che colpisce lo Yemen in nome della libertà di navigazione, ma soprattutto per avvertire l’Iran. Il governo Houthi a sostegno iraniano che attacca navi israeliane come ritorsione al massacro nella Striscia di Gaza, e per colpire la politica statunitense in tutto il Medio Oriente.
Di fatto gli attacchi dallo Yemen contro navi nel mar Rosso, passaggio obbligato tra Mediterraneo e l’oceano Indiano, hanno costretto molte compagnie di navigazione a sospendere il transito nella zona e a circumnavigare l’Africa, una rotta più lunga di diverse migliaia di chilometri e costi relativi, con danni commerciali planetari immediati ma tutti ancora da misurare.
Per ora sembra però che gli attacchi compiuti dagli Stati Uniti e dagli altri paesi alleati non stiano avendo grandi risultati, dato che gli Houthi stanno continuando ad attaccare le navi. Lo riconosce lo stesso presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, anche se conferma la scelta militare. «Stanno fermando gli Houthi? No. Continueranno? Sì», aveva detto giovedì riferendosi agli attacchi statunitensi.
«L’obiettivo principale è indebolire gli Houthi al punto da convincerli a fermarsi. Ancora non ci siamo riusciti», ha ribadito Kenneth F. McKenzie Jr., un ex generale del Centcom.
Nei giorni scorsi il ministro degli esteri Tajani ha detto che l’Italia «è promotrice della nuova iniziativa sul Mar Rosso». «Una missione militare con partecipazione anche di paesi non Ue, penso alla Norvegia, per allargare la competenza di quella che c’è già fino al canale di Suez». Onerosa presenza che sarà affidata alla mini portaerei Cavour.
«Con la missione in Mar Rosso ci sarà una difesa forte vigile e armata. Non andiamo là per fare bella presenza» minaccia Tajani. Andiamo a bombardare lo Yemen?
Suez, Bab el-Mandeb, Malacca, Hormuz, Panama, il Bosforo e i Dardanelli, Gibilterra, lo Skagerrak fra Norvegia e Danimarca. Le vie marittime del mondo passano dagli Stretti, come sottolinea Giorgio Ferrari su Avvenire. Sul controllo di quelle piccole lingue di mare si sono edificati imperi. Attorno agli Stretti sono esplose crisi internazionali (Suez nel 1956 con la nazionalizzazione egiziana il Canale) e come a certi sbocchi al mare hanno puntato grandi imperi.
Passaggi obbligati da dove in tempo di pace e prima della crisi ucraina e in Medio Oriente, transitava l’80% delle merci del pianeta e il 54% del grano e dei fertilizzanti. Gli Stretti dominano sui costi e i noli delle merci e delle navi, le accidentali interruzioni del flusso perpetuo del naviglio mondiale (oltre un milione di navi fra commerciali e militari li percorrono quotidianamente) si ripercuotono all’istante sull’economia del pianeta.
«Le guerre in corso in Medio Oriente e nel Mar Nero amplificano e confermano l’importanza degli Stretti e insieme la loro vulnerabilità». Cosa sembra sfuggire alla flotta occidentale schiarata di fronte allo Yemen. Altra portata politica quando Deng Xiaoping a colloquio con Ronald Reagan riconobbe che la vera disputa fra Cina e Stati Uniti avrebbe riguardato il controllo del Mar Cinese Meridionale e dello Stretto di Malacca, secondo varco mondiale dopo Hormuz.
«Basterebbe chiuderlo un mese e l’economia del Dragone crollerebbe», disse allora Reagan. Che accadrà se il già devastato Yemen ora bersaglio occidentale, colpito ed offeso, decidesse di fare ciò che gli Stati Uniti minacciavano contro la Cina?