‘I corsari sono tre, ma i pirati trentatre’. Libertà di navigazione quando e chi

Rima da Zecchino d’oro anni ’60 ancora nelle orecchie di molti. Dopo secoli di conquiste coloniali accompagnate da una continua espansione del potere navale e dei commerci marittimi, alla fine del XIX secolo un ammiraglio inglese definì la libertà di navigazione «il diritto di andare dove si vuole, con qualunque trabiccolo, senza essere disturbati da chicchessia».
Ovviamente tale libertà valeva soprattutto per i sudditi dell’Impero britannico. Prima di quella egemonia di potenza militare, i Re che non erano d’accordo tra loro, arruolavano dei pirati nobilitandoli in ‘Corsari’, nella guerra da Corsa, a chi corre meglio tra cacciatore e preda.
Libertà di navigazione ed egemonia marittima, il dritto e il rovescio della stessa medaglia.

Favoloso Mar dei Caraibi: rubare ai ladri con corona

Il periodo aureo della pirateria e della guerra corsara nel Mar dei Caraibi si può collocare nella seconda metà del XVII secolo, ma era cominciato molto prima, da quando le navi delle potenze coloniali avevano cominciato a trasferire in Europa le enormi ricchezze di oro e argento, o altri prodotti pregiati come spezie, zucchero di canna o rum, saccheggiate nelle Americhe. Le navi erano attaccate e depredate da due categorie di equipaggi: i pirati, che depredavano per proprio conto, e i corsari, ai quali di solito era stata concessa una ‘patente di corsa’, ossia un’autorizzazione da parte di un sovrano ad attaccare navi mercantili nemiche. Il più noto di essi fu probabilmente l’inglese sir Francis Drake, riconosciuto dalla regina Elisabetta I come una sorta di comandante di nave ausiliaria.
In realtà il riconoscimento di combattente legittimo non sempre fu accettato da tutti e molti corsari – nonostante le carte in regola – finirono giustiziati alla stregua dei pirati. Le incursioni erano tuttavia un pericolo concreto per tutte le marine mercantili dell’epoca: la stipula di accordi internazionali contro la pirateria e il consolidamento delle amministrazioni coloniali appoggiate da guarnigioni stabili fecero si che il fenomeno si riducesse, ma non scomparisse del tutto.
Anche in Europa del resto, sulle coste atlantiche francesi a Saint-Malo, era presente una colonia corsara che per conto del re di Francia depredava navi inglesi e olandesi di passaggio: la consuetudine si protrasse sino al tempo di Napoleone che però non riuscì convincere il corsaro Robert Sourcouf ad arruolarsi nella marina imperiale.

Mediterraneo e gli «hostes gentium»

Meno celebrata di quella caraibica fu invece la pirateria in Mediterraneo che oltre tutto era molto più antica e fu un autentico flagello. Assai chiacchierati furono i Fenici e ad una certa cattiva fama non si sottrassero nemmeno i Greci, alcuni dei quali furono assoldati da Alessandro il Macedone per depredare altre navi greche: la stessa parola ‘pirata’ pare derivi infatti dal greco ‘peirao’, ossia ‘prendere d’assalto’. Una svolta avvenne quando Roma divenne la prima potenza mediterranea e come tutti gli imperi dettò agli altri le proprie leggi. Il romano più famoso catturato dai pirati nel 74 a.C., fu Giulio Cesare che liberato raccolse una flotta e si vendicò facendo giustiziare i suoi aguzzini.
Pochi anni dopo, nel 67 a.C., dopo il saccheggio del porto di Ostia, il senato approvò la Lex Gabinia (proposta da Aulo Gabinio) che dichiarò i pirati «hostes gentium», cioè nemici dell’umanità. Questo portò alla maggiore operazione anti-pirateria condotta nell’antichità: Gneo Pompeo ottenne risorse senza precedenti e soprattutto poté agire in piena autonomia. Al comando di un complesso militare di oltre duecentocinquanta navi e duecentomila soldati ripulì le coste mediterranee dal banditismo marittimo soprattutto in Cilicia (attuale costa meridionale della Turchia), a Creta e in Illiria (costa orientale dell’Adriatico).
A parte una spietata repressione che coinvolse anche le popolazioni rivierasche, non sempre responsabili delle azioni piratesche, Gneo Pompeo, offrendo ad alcuni pirati pentiti terreni nell’entroterra, li convinse a trasferirsi lontano dal mare realizzando una vasta operazione politica che indirettamente portò gli stessi Romani a penetrare in nuovi territori.

Vichinghi, barbareschi e i primi ‘marines’

La caduta dell’impero romano ridusse drasticamente i commerci e le rotte lungo le quali rapinare navi mercantili si diradarono fino a scomparire quasi completamente. Non si estinse invece il fenomeno della pirateria che si trasferì altrove: infatti tra il Medioevo e l’età moderna i pirati più famosi furono i Vichinghi nel Mare del Nord e i barbareschi in Mediterraneo. I primi diedero vita a diverse comunità che divennero embrioni di piccoli stati, mentre i secondi subirono le vicende politiche dall’espansione dell’Islam alle crociate durante le quali pirateria e guerra irregolare si mescolarono.
Una svolta avvenne nel 1492, dopo la definitiva cacciata degli arabi dalla Spagna, quando sulla sponda meridionale del Mediterraneo si riversarono gli espulsi: poiché per l’impero ottomano i pirati non costituivano un pericolo, in quanto cercavano prede solo tra le navi cristiane, per tutto il XV secolo le coste nordafricane dal Marocco alla Libia pullularono di colonie di pirati o porti dove si vendevano come schiavi uomini e donne catturati nelle razzie. Solo dopo la battaglia di Lepanto nel 1571, si assisté a una riduzione del fenomeno, ma realtà la pirateria proseguì fino alla fine del XVIII secolo.
In questo quadro si colloca un episodio particolare che vide protagonisti il bey di Tripoli e gli Stati Uniti d’America che, dopo anni di accordo, improvvisamente avevano cessato di versare una cospicua somma di denaro per ottenere che le navi statunitensi non fossero attaccate dai pirati.

Fanti di marina americani, che si chiamavano già ‘marines’, sbarcarono a Derna nel 1804 per riportare alla ragione il riottoso bey che si ostinava a chiedere denaro. Era incominciata un’era nuova, ma allora non se accorse nessuno.
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