Le sanzioni di Pericle molto prima di Biden e Von del Lyden

La storia delle sanzioni economiche è antica  quanto le guerre, e con la scusa di evitarle molto spesso ne sono state la causa. Prima dell’istituzione delle grandi organizzazioni internazionali, la Società delle Nazioni tra le due guerre mondiali e l’Organizzazione delle Nazioni Unite oggi, si parlava di embargo o di guerra economica già dall’antica Grecia fino a Napoleone. La valutazione su questi strumenti di guerra economica è tuttavia piuttosto controversa, perché non sempre questi provvedimenti hanno ottenuto l’effetto desiderato..

Pericle voleva solo piegare Megara …

Le sanzioni economiche hanno una storia molto lunga: arrotondando per tornare troppo indietro nella storia le datiamo a venticinque secoli fa. Il primo ad emettere un decreto che vietava ogni commercio con la città nemica, Megara, fu Pericle nel 432 a.C. Obiettivo, piegare la città senza combattere, ma le conseguenze invece furono una guerra vera, perché Sparta, a capo di un’alleanza con altre polis greche, attaccò Atene. Lo storico Tucidide formulò l’ipotesi che Sparta avesse iniziato la guerra nel timore che la potenza di Atene la soverchiasse e, in tempi recenti, il politologo americano Allison ha teorizzato che un meccanismo analogo, ossia scatenare una guerra nel timore di subire un’egemonia esterna (definito appunto «la trappola di Tucidide»), si è ripetuto diverse volte nella storia e si potrebbe ripetere ancora oggi tra Stati Uniti e Cina, ad esempio. Tornando ora alle sanzioni in se, si può dire che nel caso di Pericle, la sanzioni non funzionarono e che anzi Atene subì un conflitto devastante dal quale uscì duramente sconfitta quasi tre decenni dopo.

Napoleone e l’Inghilterra

Il lungo confronto tra Napoleone e l’Inghilterra, oltre che da battaglie, fu anche costellato da azioni di guerra commerciale quali embarghi o sequestri di merci. Nel 1805 gli inglesi ad esempio vietarono il commercio dei paesi neutrali con le colonie francesi e, dopo la battaglia di Trafalgar, e aver reso impossibile un temuto sbarco francese in Inghilterra, il blocco al commercio neutrale fu esteso a tutta la costa settentrionale europea. Per attuarlo – in violazione dei principi di libertà dei mari e del rispetto dei neutrali – l’Inghilterra si avvalse della sua superiorità navale che le consentiva di fermare e ispezionare navi in mare aperto e non solo nelle proprie acque territoriali. In risposta alla mossa inglese, Napoleone proclamò il blocco al commercio inglese nel celebre «decreto di Berlino» – comprendendo anche l’interdizione delle semplici comunicazioni – attuando le stesse misure coercitive nei confronti dei neutrali. Tra i tanti risultati – soprattutto in Mediterraneo – vi fu un consistente aumento del contrabbando di merci di ogni sorta, protetto dalla marina di sua maestà britannica, ma anche una diversificazione delle esportazioni inglesi che puntarono su beni più remunerativi, che valessero cioè la pena di essere esportati, conservando comunque un forte ricavo complessivo.

Le ‘inique sanzioni’ all’Italia coloniale e fascista

Un caso classico preso a modello per sostenere l’inefficacia delle sanzioni è quello italiano del 1935, quando il regime fascista aggredì l’Etiopia. È indubbiamente vero che le sanzioni imposte all’Italia (definite dal regime ‘inique sanzioni’) non produssero gli effetti sperati, ma è altrettanto vero che in pratica non furono applicate del tutto, né tutta la comunità internazionale dell’epoca fu unanime nell’attuarle. Mancò insomma una decisa volontà generale  ad andare fino in fondo e la stessa Gran Bretagna, che avere potuto bloccare il canale Suez alle navi italiane, non lo fece nel timore di un’alleanza italo-tedesca (cosa che avvenne però tre anni dopo). Inoltre continuarono, ad esempio da parte degli Stati Uniti, le forniture di petrolio, ma la prosecuzione della guerra in Africa consumò tuttavia le scorte strategiche italiane facendo sì che nel 1940 le risorse per affrontare la guerra fossero più che insufficienti provocando i disastri che conosciamo. Al contrario, l’embargo americano alle forniture di petrolio al Giappone nel 1941 fu devastante, tanto che l’impero giapponese – nonostante forti dissensi interni – decise la guerra con l’attacco a Pearl Harbor.       

Le sanzioni ‘permanenti’ della Guerra Fredda

Che sia esistito il COCOM  (Coordinating Committee for Multirateral Exports Controls) è noto agli economisti e agli studiosi di relazioni internazionali, ma non al grosso pubblico. In pratica, dal 1949 al 1993, da parte degli Stati Uniti e altri paesi aderenti alla NATO, vi fu un controllo permanente sulle esportazioni verso l’Unione Sovietica e i paesi alleati (o anche ‘presunti’ tali). In modo assai pragmatico furono stilate liste di prodotti la cui esportazione era assolutamente vietata; ovvio che al primo posto vi fossero materiali di armamento o legati all’energia nucleare, ma vi erano inclusi anche altri prodotti industriali e commerciali suddivisi in tre categorie: semplicemente vietati, soggetti a limitazioni quantitative e prodotti per la sorveglianza o le comunicazioni cui si aggiungeva lo scambio di informazioni sugli stessi. La reazione sovietica fu comprensibilmente un’espansione dello spionaggio industriale in vari paesi occidentali, ma le limitazioni contribuirono comunque a mantenere sotto pressione il sistema militare-industriale sovietico e soprattutto ad impedirne un pieno sviluppo. Con la comparsa della Cina e della Corea sulla scena internazionale l’azione fu estesa anche a quei paesi, anche se non mancarono opinioni divergenti, come nel caso del Giappone che, a partire dalla metà degli anni Cinquanta, intensificò le relazioni commerciali con la Cina.

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