«Una terra che fa da cerniera tra Russia e Cina, un popolo di nomadi e pastori in cui quasi un terzo dei cittadini vive al di sotto della soglia di povertà, una delle comunità cattoliche più piccole al mondo, il cardinale più giovane del collegio cardinalizio: sono questi i principali motivi che portano papa Francesco in Mongolia per il suo 43° viaggio apostolico», la lettura di Guglielmo Gallone su Limes.
Ad accogliere il pontefice nei nove luoghi di culto ufficialmente registrati in Mongolia sarà il cardinale Giorgio Marengo: classe 1974, non ancora 50 anni, nato a Cuneo, dal 2020 nominato da Bergoglio ‘prefetto apostolico’, vescovo di Ulaanbaatar, capitale della Mongolia, e il 27 agosto 2022 è stato creato cardinale. Tutti numeri a stupire, circa i circa 1.500 fedeli rispetto alla straripante folla di altre occasioni papali, e 75 missionari e missionarie mettendo assieme 10 congregazioni religiose e 27 nazionalità. Con 2 sacerdoti locali.
Dal censimento 2020, su oltre 3 milioni di abitanti, il 51,7% dei mongoli è buddista, il 41% si considera ‘non religioso’, il 3,2% musulmano, il 2,50% segue lo sciamanesimo mongolo e l’1,30% è cristiano.
Solo trent’anni fa, il missionario e sinologo belga Jerome Heyndrickx diceva di non essere a riuscito a contare «neanche un cristiano, uno di numero intendo, tra i più di due milioni di mongoli». In realtà – riassume Guglielmo Gallone-, il cristianesimo in Mongolia si era già diffuso tra il V e il VII secolo attraverso la Chiesa d’Oriente e la dottrina cristologica nestoriana, come testimoniato dal resoconto di viaggio del missionario francescano Guglielmo di Rubruck compiuto tra il 1254 e il 1255.
Simbolo di dialogo interreligioso l’iniziativa di Gengis Khan che, nel XIII secolo, invitò musulmani, cristiani, buddisti e taoisti a vivere insieme nelle steppe della Mongolia. Da ricordare anche Giovanni da Pian del Carpine, messaggero di pace inviato da papa Innocenzo IV dai mongoli alle porte d’Europa, la missione diplomatica del francescano Giovanni da Montecorvino, inviato da Niccolò IV, e le parole scritte dal Gran Fhan Gasan a Bonifacio VIII.
La dinastia Ming in Cina, la diffusione dell’islam e poi la nascita della Repubblica popolare nel 1924, posero fine al cristianesimo in Asia. Nel 1992 il governo post comunista apre al dialogo religioso, e relazioni diplomatiche. Arrivano i primi missionari cattolici, quasi un terzo di origine sudcoreana, che si impegnano in campo sociale, educativo e sanitario. L’essere minoranza religiosa ha pesato e pesa ancora, specie in un paese in cui il buddismo tibetano rimane religione maggioritaria e l’ateismo ha regnato per decenni.
Negli anni Novanta la Mongolia, in recessione economica alimentata dal crollo dell’Unione Sovietica e dalle calamità naturali ha pagato prezzi sociali altissimi. Il recupero con l’estrazione mineraria il suo punto di forza -terre rare-, e sulla produzione di cashmere dalla popolazione nomade. Problemi aperti, lo strapotere di élite locali, la corruzione, l’assenza di accesso al mare e la necessità di affidarsi alla logistica con Cina e Russia per le esportazioni. La Mongolia resta divisa tra la capitale – relativamente tecnologica– e i grandi villaggi di periferia caratterizzati da allevamenti, povertà e isolamento.
Consapevole che la crisi della religione attraversata dalla società contemporanea sta rendendo tutto il mondo ‘un luogo da evangelizzare’, la Chiesa di Francesco realizza la sua missione soprattutto dove è più difficile. «Perciò Francesco ha in programma di recarsi a Marsiglia e non a Parigi e poi dovrebbe visitare il Kosovo». Nella scelta della Mongolia, paese vicino a Russia e Cina, protagonisti indiscussi della contemporaneità, sembra contare anche la guerra in Ucraina.
I rapporti tra Mosca e il Vaticano sono stati condizionati dalla guerra in Ucraina, ma Bergoglio ha sempre ribadito il suo impegno nel dialogo con tutte le parti coinvolte nel conflitto. La settimana il video collegamento ai giovani cattolici russi. Dall’altro lato, la creazione del cardinale Stephen Chow Sau-Yan, vescovo di Hong Kong, potrebbe rafforzare la presenza della Chiesa in Cina. Ma proprio per la delicatezza dei rapporti diplomatici, è probabile che il papa non insista troppo su temi geopolitici.
«Andare in visita nel paese cuscinetto tra Russia e Cina, dove scorrono le materie prime che rafforzano le relazioni tra i due Stati, significa già molto», rileva Limes. «Soprattutto nell’ottica dell’annunciata visita del cardinale Matteo Maria Zuppi a Pechino, del dialogo con Mosca e dell’accordo bilaterale tra Cina e Santa Sede».
Durante il viaggio apostolico in Kazakistan del 2022, l’Agenzia britannica Reuters riferiva del tentativo fallito del Vaticano di far incontrare il papa con il presidente cinese Xi Jinping. Ora Francesco ritorna in un paese ai confini con la Repubblica popolare cinese. E con la Russia di Putin.