Generale Inverno 5. Quei Natale di guerra mondiale

Alle prime luci dell’alba del 22 giugno 1941 le forze armate hitleriane attaccarono di sorpresa l’Unione Sovietica. Doveva essere l’ennesima vittoria lampo del III Reich, ma già ad estate inoltrata sorsero i primi dubbi. Ci si preparò così ad affrontare l’inverno, pensando fosse solo un ritardo stagionale e che a primavera le cose sarebbero cambiate. Al primo inverno di guerra ne seguirono però altri tre.
‘Il sogno di potenza e la nemesi’, l’ultimo sforzo di Giovanni Punzo, sulle crudeltà degli inverni di gelo in aggiunta a quelle della guerra. La seconda guerra mondiale e la campagna di Russia che sconfisse anche armate naziste del terzo Reich. Oggi, con un pensiero particolare al Natale di guerra che stanno vivendo le popolazioni d’Ucraina, e non solo loro.

Informazioni giuste, ma inascoltate

A Tokio, sotto la copertura di un giornalista esperto in questioni economiche dell’Estremo Oriente, operava da tempo un agente dello spionaggio militare sovietico: il tedesco Richard Sorge, a capo di una piccola rete, aveva già fornito informazioni fondamentali all’Urss, come nel caso della breve guerra in Mongolia. Sorge godeva della fiducia incondizionata del personale dell’ambasciata tedesca che, pur considerandolo stravagante (e ai limiti dell’etilismo), non dubitava nemmeno lontanamente della sua assoluta lealtà al Reich: perfino l’ambasciatore – che intratteneva con lui anche rapporti personali fuori dall’ufficialità – si fidava del giornalista arrivando al punto di chiedere il suo aiuto nel cifrare documenti riservati da e per Berlino.
Non fu difficile quindi alla spia sovietica venire a conoscenza del piano di guerra tedesco che fu immediatamente trasmesso a Mosca. La reazione fu l’incredulità più totale: Stalin infatti era pienamente convinto dell’affidabilità tedesca dopo la firma del patto di non aggressione del 1939 e liquidò l’informazione come una ‘provocazione inglese’, destinata a far scoppiare davvero la guerra costringendolo ad allearsi così con l’Inghilterra. La sorpresa fu tale che per giorni – come descritto nelle memorie di numerosi leader sovietici – Stalin non uscì nemmeno dalla sua dacia per andare al Cremlino. Dopo la confusione iniziale l’Armata rossa cominciò però a resistere.

Il dubbio

L’attacco fu condotto lungo un fronte che si stendeva praticamente dall’Artico all’Astrakan e per un attimo sembrò che lo stato sovietico crollasse come un castello di carte. La tattica era la stessa già sperimentata in Francia, ma basata su una sola carta: un colpo formidabile a sorpresa da terra e dall’aria, ma negli immensi spazi russi gradatamente l’urto si attenuò. Già nel pieno dell’estate sorsero i primi dubbi, almeno tra i soldati al fronte che subivano anche le maggiori perdite e cominciavano a sentire la mancanza di rifornimenti regolari.
«Ormai è chiaro – scriveva un generale alla moglie – che finora abbiamo tenuto gli occhi chiusi. Prima dell’inverno abbiamo al massimo cinque o sei settimane» e continuava descrivendo le condizioni di sempre maggiore affaticamento e il lento calo del morale. Solo nell’alto comando si continuava a pensare di proseguire imperterriti e anzi si manifestava una malcelata irritazione per i ritardi attribuiti ai soldati o ai comandi al fronte.
A dicembre del 1941, mentre le avanguardie tedesche arrivavano alle porte di Mosca, i sovietici lanciarono una controffensiva che colse impreparati i tedeschi. Fu silurato il generale von Brauchitsch e Hitler assunse personalmente il comando; ne approfittò però soprattutto la propaganda russa che ricorse all’immagine di Napoleone fermato dall’inverno ed effettivamente fino al marzo successivo il fronte si fermò.

Gli inverni di guerra

Il primo inverno di guerra trascorse in mezzo a enormi difficoltà per il semplice motivo che anche la potente Wehrmacht non disponeva all’epoca di equipaggiamento sufficiente: gli stivali chiodati, il cui rumore cadenzato sul selciato spaventava i civili dei paesi invasi, non proteggevano dal freddo e si verificavano congelamenti che spesso provocavano amputazioni. I temuti carri armati e gli altri automezzi si fermavano per il gelo e le operazioni stagnavano. Nel solo mese di dicembre 1941 le perdite ammontarono a quasi cinquantamila uomini, mentre la pressione sovietica aumentava costringendo i tedeschi ad arretrare fino a cento chilometri dalle posizioni conquistate.
Fu in particolare negli ospedali militari che la situazione divenne insostenibile: il diario di un infermiere, in una sola giornata di dicembre, riportava quindici amputazioni da congelamento e solo tre interventi su feriti. La guerra riprese in primavera, ma le perdite avevano indebolito soprattutto i tedeschi e incrinato la fiducia nell’immancabile vittoria. La conquista di Stalingrado alla fine dell’estate del 1942, sanguinosissima e incompiuta, rialzò di poco il morale, perché sei mesi dopo – nel secondo inverno di guerra – avvenne il crollo e un’intera armata fu costretta alla resa ai primi di febbraio del 1943.

Le ultime lettere dopo Natale

Una delle testimonianze più drammatiche e toccanti di tutta la Seconda guerra mondiale è sicuramente rappresentata dalla raccolta di lettere scritte da soldati tedeschi a Stalingrado poco dopo il Natale del 1942, prima della resa, e spedite in Germania con l’ultimo aereo. Rimaste intatte in un archivio, dopo che il ministero della propaganda sequestrandole ne aveva impedito la diffusione, rappresentano ancora oggi una testimonianza umana straordinaria e soprattutto uno spaccato dello stato d’animo dei soldati chiusi nella sacca.
Qualcuno accenna alle tristi condizioni in cui è trascorso il Natale, qualcuno dolorosamente comunica che un’amputazione subita non gli permetterà più di suonare il pianoforte o ammette che la sua convinzione nel nazismo è definitivamente scomparsa: tutti però erano consapevoli che quel Natale appena trascorso sarebbe stato l’ultimo e che la loro situazione era senza scampo. Alla fine della guerra mancavano ancora due anni e mezzo.

Altri Articoli
Remocontro