Palestina solo geografia e Patria un campo profughi: destino o chi si crede Dio?

Un popolo che vivendo la nostra ‘modernità del diritto’, non riesce ad avere terra certa e Patria facendosi Stato. E per generazioni e generazioni di palestinesi dispersi, ospiti spesso sgraditi, in Medio Oriente, i ‘Campi profughi’ sono diventati la sono ‘casa’ consentita e la loro condizione di vita da qui a sempre.
Come tante altre parole di uso frequente, «diaspora» deriva dal greco ‘diasporà’ e significa in primo luogo ‘dispersione’, la dispersione di un popolo che – volente o nolente – lascia i luoghi di origine ed affronta altre vicissitudini che sembrano infinte. A Gaza è in corso una ‘diasporà’ decisamente violenta, sino a fiorare il terribile genocidio, avvertono i giuristi. Un po’ di storia moderna su cosa, come e dove è accaduto quello che ora si ripete a Gaza e in Cisgiordania, e sempre sullo stesso popolo arabo insediato da millenni nella storica Palestina.

Nakba 1948, da allora circa 6 milioni di profughi palestinesi. In attesa di conoscere la sorte dei disperati di Gaza.

La chiave di casa

La storia dell’esodo palestinese comincia nel 1948. Dalla prima guerra arabo-israeliana all’esodo vero e proprio trascorsero parecchi mesi, ma oggi a sintetizzare uno dei drammi più dolorosi del XX secolo bastano solo due date in successione: il 14 maggio, solennizzato e celebrato come anniversario della proclamazione dello stato di Israele, e il 15 maggio, ricordato dalle tante comunità palestinesi sparse in Medio Oriente o nel mondo come il giorno della ‘Nakba’, ovvero ‘la catastrofe’. La prima risoluzione delle Nazioni Unite riconosceva infatti lo stato di Israele stabilendo una spartizione con i palestinesi che tuttavia non accettarono. Seguì la guerra: Egitto, Iraq, Giordania e Siria attaccarono il giovane stato nella presunzione di sconfiggerlo, ma avvenne il contrario. Non solo Israele resisté, ma contrattaccò occupando ampie parti di quel territorio che le Nazioni Unite avevano assegnato invece ai palestinesi.
Non sempre l’occupazione avvenne in maniera pacifica e decine di villaggi furono distrutti: circa settecentomila palestinesi furono costretti a fuggire e cominciò la ‘nakba’. Non se ne ebbe però piena consapevolezza, perché ogni profugo era convinto di tornare presto o tardi alla propria casa della quale aveva conservato la chiave. Passate di generazione in generazione nella famiglie palestinesi, nessuna di quelle chiavi ha mai più aperto la porta da cui era stata sfilata settantacinque anni prima anche perché nel 1949 le Nazioni Unite riconobbero gli ampliamenti territoriali: la regione di Acre vicino al confine col Libano, il deserto del Negev nel sud del paese e una fascia più ampia di territorio fra Tel Aviv e Gerusalemme divennero Israele, mentre nel frattempo una risoluzione ONU che riconosceva il diritto al ‘rientro’ dei profughi non fu mai accettata.

Dalla nascita dell’OLP ai massacri libanesi

La situazione rimase precaria a lungo, aggravata dal secondo conflitto arabo-israeliano del 1956. Nel 1964, al Cairo, in piena atmosfera nasseriana e sotto la protezione della Lega Araba, riunendo esponenti palestinesi di varie tendenze, fu fondata l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, l’OLP. Nel 1967 però, nonostante l’apparente unità panaraba e i vasti preparativi, Israele con un attacco a sorpresa scompaginò i piani. Iniziò un lento declino politico di Nasser e alla guida dell’OLP fu eletto Yasser Arafat, ma in realtà l’OLP a sua volta si divise in vari gruppi a volte in lotta tra loro. Nel 1970 un paese arabo come la Giordania espulse i palestinesi dopo sanguinosi combattimenti.
Come un congegno ad orologeria cominciò poi la tensione in Libano, altro paese dove si trovavano numerosi profughi: mentre l’OLP nel lungo periodo delle guerre civili combatté contrò diversi avversari, i campi profughi furono rasi al suolo provocando migliaia di vittime civili e la fuga di altre migliaia di palestinesi, non sempre accolti benevolmente dai vicini. Seguirono la prima e la seconda ‘intifada’, fallirono gli accordi di Oslo, ma i campi profughi rimasero sempre la normale condizione di vita.
Anche se nel 1974 l’OLP fu ammessa alle Nazioni Unite come osservatore e gradatamente inserita nell’organizzazione, perché l’Assemblea generale commemorasse la ‘nakba’ con una risoluzione, si dovette attendere il 15 maggio 2023: bollata da Israele come ‘vergognosa’ e come un tentativo ‘di distorcere la storia’, la risoluzione ottenne tuttavia novanta voti a favore, trenta contrari e quarantasette astenuti.

Sei milioni di profughi palestinesi e l’Unrwa

Data l’unicità e l’enorme rilevanza della ‘questione palestinese’, era stata creata un’organizzazione internazionale ad hoc per gestirla, un’agenzia delle Nazioni unite dedicata esclusivamente ai profughi di questa nazionalità presenti in Medio Oriente. Istituita nel 1949, dopo la prima guerra arabo-israeliana, l’Unrwa (United Nations Relief and Work Agency for Palestine Refugee in the Near East) si occupa tuttora sia della gestione delle emergenze che della protezione, dell’inserimento educativo, sociale ed economico dei profughi e dei loro discendenti. Sono infatti considerati ‘profughi’ coloro che risiedevano in Palestina tra il giugno 1946 e il maggio 1958, ma anche i loro figli e nipoti, aspetto forse sconcertante, ma comprensibile dopo le drammatiche conseguenze dei numerosi conflitti che hanno sconvolto l’area, e anche perché non c’è mai stata un’accoglienza esterna che di fatto concedesse diritti di cittadinanza.
L’agenzia da sola ha quindi assunto un ruolo esteso e articolato gestendo campi, scuole e ospedali. Dopo tre quarti di secolo di peregrinazioni e massacri delineare oggi un quadro dettagliato dei profughi palestinesi non è impresa facile. Dal 2000 al 2023 si è registrato in ogni caso un aumento costante del numero: secondo stime delle organizzazioni internazionali assommano a circa sei milioni dei quali circa il 40% nella sola Giordania e circa mezzo milione in Siria e Libano.
L’altro aspetto è che – in considerazione della presenza Unrwa – gli stessi palestinesi non si sono rivolti ad altre agenzie internazionali, né hanno fatto richieste di ammissione ad altre protezione. I recenti fatti di Gaza, accompagnati dalle pesanti accuse nei confronti dell’agenzia, non possono ora che peggiorare la situazione.

 

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