L’Asia americana o cinese nel dubbio-incubo di un altro Trump

E se alla presidenza Usa torna Trump, cosa succederà anche in casa nostra? Domanda universale, con qualche paura in più nelle aree strategiche del mondo, pensiamo allo Stretto di Taiwan e alla Penisola coreana. Da Pechino a Tokio, mezza Asia guarda sempre più interessata e preoccupata per le mosse di Donald Trump.

South China Morning Post di Hong Kong

In particolare, la diplomazia internazionale s’interroga sulle sue eventuali strategie, in due precise aree di crisi. Il suo approccio nei confronti della Cina e del sempre più estroso ma atomico Kim. Se lo chiede un osservatorio sempre attento sull’universo dell’Estremo Oriente, come il South China Morning Post di Hong Kong, che dedica due approfonditi report all’argomento.

Taiwan non vale una guerra

«Durante la sua prima amministrazione – titola il quotidiano – Trump ha suggerito che l’isola autonoma non fosse una priorità. Se la sua indifferenza continuasse anche per un secondo mandato, sarebbe un grande regalo geopolitico per Pechino». In effetti, dicono dietro le quinte gli analisti asiatici, che conoscono molto bene tutti i dettagli del colossale confronto tra Stati Uniti e Cina, il vero scontro, agli occhi di Trump, è sempre per il business. Nel senso che le sue priorità sono, innanzitutto, finanziarie e produttive.

La sicurezza nazionale? È una cosa imprescindibile, ma per lui, detto sottovoce, forse viene prima (o, comunque, a braccetto) la bilancia commerciale.

Solo guerra dei dazi

Per questo, non si è mai azzardato a minacciare un intervento diretto americano a difesa di Taiwan, in caso di invasione cinese. Come invece ha fatto Biden, scoprendo le sue carte. Trump no. Quando è stato Presidente, ha picchiato duro dal lato dei dazi doganali contro Pechino, e non ha fatto sconti nemmeno ai fedeli alleati di Taipei, maledicendoli per la loro supremazia commerciale nel campo dei semiconduttori. «Ci hanno portato via la nostra attività. Avremmo dovuto fermarli, avremmo dovuto tassarli e tariffarli», ha detto furibondo, con l’aria di chi non dimentica un torto subito.

Taiwan ‘fuori dai radar’

Preparando però l’attuale campagna elettorale, Trump sembra avere completamente eliminato dai suoi radar il ‘problema Taiwan’. Gli analisti del ‘South China Morning Post’, sempre molto attenti alle statistiche, hanno notato che nelle 46 prese di posizione politiche di Trump, accuratamente documentate, la crisi sull’indipendenza dell’isola cinese non compare nemmeno una volta. Una cosa che fa dire in maniera sconsolata a Kishore Mahbubani (Asia Rsearch Institute, Singapore) che il Trump 2.0 «sarà caotico, non solo per gli Stati Uniti ma per il mondo intero». Ma questo era facile immaginarlo. E anche qualcosa di peggio.

Tra ‘caos planetario’ e soldi in cassa

Per Thomas Parker (George Washington University) Trump resta più interessato alla bilancia dei pagamenti, piuttosto che all’equilibrio del potere mondiale. Eric Gomez (Cato Institute) ha invece osservato che la posizione dell’ex Presidente, sullo status di Taiwan, «cambia selvaggiamente», e che, in caso di un secondo mandato, darà battaglia sulla questione dei semiconduttori. Tra l’altro, Gomez ha ricordato che, mentre il ‘guerrafondaio’ Biden ha venduto armi a Taiwan per 4,3 miliardi di dollari, Trump è arrivato ad annunciarne ben 18,3. Senza sollevare troppi scandali.

La vendetta dell’ex amico cacciato

Scandali che, invece, si possono abbondantemente ritrovare nella nuova prefazione del libro di John Bolton, l’ex Consigliere per la Sicurezza nazionale Usa, durante la Presidenza Trump. Nel fresco rilancio del suo libro di memorie sulle politiche della Casa Bianca, «The room where it happened», Bolton lancia il dubbio su cosa sia realmente successo nelle ‘room’ segrete, e mette in guardia il pianeta su un pericolo specifico: «se Trump dovesse essere rieletto potrebbe concludere un accordo sconsiderato sul programma nucleare della Corea del Nord». Una mossa, questa, che finirebbe per isolare la Corea del Sud e mettere in gravi difficoltà lo stesso Giappone.

Tanti nemici e poco onore

Per la verità, durante il suo primo mandato, il tycoon repubblicano ha già incontrato il dittatore nordcoreano tre volte: a Singapore, ad Hanoi e nella zona smilitarizzata di confine, nei pressi del 38º parallelo. Pare che, a questo punto, anche per Kim Jong-un, le elezioni americane rappresentino un appuntamento da valutare con una certa attenzione. Come stanno facendo con largo anticipo (e con grande saggezza) anche i giapponesi. Voci insistenti parlano di contatti in corso, tra il governo di Tokio e il team di Trump.

Mettere le mani avanti

Taro Aso, ex Primo ministro e attuale vicepresidente del Partito Liberaldemocratico, dovrebbe essere il mediatore designato. A lui il difficile compito di spiegare, a Trump, quello che finora non hanno capito manco i giapponesi: cioè, come fare ragionare Kim.
Condividi:
Altri Articoli
Remocontro