Armi Usa a Taiwan e le Isole Salomone amiche della Cina cacciano la flotta statunitense

Le Isole Salomone, arcipelago di grande importanza strategica nell’Oceano Pacifico, non consentiranno più l’attracco alla marina americana. L’arcipelago del Pacifico ha rapporti tesi con gli Usa da quando ha siglato un patto per la sicurezza con la Cina, lo scorso aprile. Ieri inoltre l’Amministrazione Biden ha chiesto al Congresso il via libera per la vendita di 1,1 miliardi di armi a Taiwan

Seconda guerra mondiale, truppe Usa a Guadalcanal, isole Salomone

Armi Usa a Taiwan, navi statunitensi vietate in Polinesia

Le Isole Salomone, arcipelago di grande importanza strategica nell’Oceano Pacifico, stanno impedendo l’attracco alle navi da guerra americane. La notizia è stata comunicata dall’ambasciata Usa in Australia e segue tutta una serie di schermaglie diplomatiche, tra Washington e Pechino, che si trascinano già da alcuni mesi. Secondo il South China Morning Post di Hong Kong, le relazioni tra gli Stati Uniti e il governo delle Salomone sono peggiorate dopo che quest’ultimo ha firmato un trattato di amicizia e sicurezza con la Cina. E ora la Casa Bianca teme che la mossa di Pechino sia la prima di una lunga serie di “blitz” diplomatici, nello scacchiere dell’Indo-Pacifico.

La memoria di Guadalcanal

Gli americani sono particolarmente legati all’epopea di Guadalcanal, un’isola del gruppo delle Salomone, strappata ai giapponesi dopo feroci combattimenti nel corso della Seconda guerra mondiale. Per cui, la scorsa settimana, quando un vascello della Guardia costiera Usa,la USCGC Oliver Henry, non è stato consentito di attraccare nel porto di Honiara, la capitale, di potersi rifornire, il risentimento è risultato doppio. Al Dipartimento di Stato e al Pentagono pensano che il rifiuto faccia parte delle clausole, più o meno segrete, del misterioso “trattato di reciproca sicurezza”, firmato dalla Cina con le Isole Salomone. Una “sicurezza” che, evidentemente, prevede di togliere qualsiasi appoggio logistico alle forze armate degli Stati Uniti.

Diplomazia ondivaga

A questo proposito, va detto che il Segretario di Stato, Antony Blinken, avrebbe potuto risparmiarsi l’ennesima figuraccia. I suoi funzionari si erano detti sicuri che, entro un paio di giorni, la nave della Guardia costiera avrebbe ottenuto il permesso di fermarsi a Honiara. Peccato che ieri tutti siano stati ufficialmente smentiti dal comunicato dell’ambasciata Usa in Australia. L’US Navy e i suoi marines pensano di avere fatto tanto, in passato, per la libertà degli abitanti delle isole e non ci stanno a essere trattati con ostilità. Il problema vero pero non è militare, ma politico. Nell’Indo-Pacifico si è generato uno scontro titanico tra Stati Uniti e Cina, che coinvolge, volenti o nolenti, tutte le potenze regionali. E, a scalare, anche le nazioni medio-piccole.

Tra pressioni e allettamenti

Una volta la scappatoia ideale poteva essere un formale “non allineamento”. Oggi questa tattica di foreign policy non funziona più, perché, soprattutto Washington ti chiede di schierarti. E questo a molti Stati asiatici (ma anche africani) non sta bene. Per decenni gli Stati Uniti si sono adagiati sugli allori della Seconda guerra mondiale e della loro vittoria contro i giapponesi, per controllare politicamente vaste zone del Pacifico. Ma oggi, la crescita della Cina, gli mette davanti un nuovo potente e difficile avversario. Pechino ha saputo curare le relazioni, prima di tutto commerciali, con molti Paesi insulari, polverizzati in un’area di milioni e milioni di km quadrati. Solo recentemente, il Dipartimento di Stato si è reso conto che bisognava fare qualcosa, per arginare il rampante espansionismo cinese.

I reduci di Guadalcanal non bastano

Una ventina di giorni fa, una nutrita delegazione americana, guidata dalla vice Segretaria di Stato, Wendy Sherman, ha visitato la Polinesia, tra cui le Salomone e Tonga. L’occasione era cerimoniale: l’80º anniversario della gloriosa battaglia di Guadalcanal. Ma sotto sotto la Casa Bianca sperava di raddrizzare una politica estera disastrosa, che anche nel Pacifico sta aprendo le porte alla scaltra penetrazione di Pechino. Come si vede, i risultati, almeno per ora, sono stati fallimentari. Pechino ha un suo modello di “colonizzazione” geopolitica, del Terzo millennio. Le costa, ma è efficace. Non batte ruvidamente i pugni sul tavolo, come gli americani, e quando offre gli aiuti lo fa con astuzia, senza trattarti da “profugo”. Insomma, non te lo fa pesare e, per quanto è possibile, fa finta di rispettare la tua cultura.

Prima il fare per prendere dopo

È una strategia di puro egoismo nazionale, ma funziona. Alle Isole Salomone i cinesi hanno già impegnato 30 milioni di dollari per nove grandi progetti di costruzione, in vista dei Giochi del Pacifico del prossimo anno. Tra le altre cose, gli ingegneri di Pechino costruiranno anche il nuovo stadio nazionale di Honiara. L’impatto della presenza cinese sull’economia delle Salomone e sulla creazione di nuove infrastrutture, a giudizio del South China Morning Post, ha spostato dal lato di Pechino il sostegno della popolazione. Sullo sfondo resta sempre il “trattato di sicurezza”, che cambia gli equilibri militari in questo spicchio di Pacifico.

Allarme Australia

Ma attenzione: il “modello Salomone” costituisce un esempio da non sottovalutare, un’esperienza che potrebbe rivedersi in molti altri arcipelaghi tra Sydney e le Hawaii.

È questo l’autorevole parere di Kevin Rudd, l’ex Primo Ministro australiano, esponente di spicco del Partito laburista. “L’Occidente sbaglia – sostiene Rudd – a dare lezioni di moralismo politico ai polinesiani, perché accettano l’aiuto dei cinesi. Anziché criticare i legami con Pechino, offriamo invece loro opportunità di sviluppo alternative”.

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