In effetti le relazioni tra Usa e Repubblica Popolare sono ai minimi storici, anche se forse è esagerato parlare di nuova ‘Guerra Fredda’ tra le due maggiori potenze economiche del mondo. Dopo il G20 di Bali gli osservatori manifestarono ottimismo, notando spiragli di dialogo tra Washington e Pechino.
Poi ci fu l’episodio del presunto pallone spia cinese che percorse in lungo e in largo i cieli degli Stati Uniti, venendo infine abbattuto dagli americani sulle coste dell’Atlantico. Ne nacque un vero e proprio caso diplomatico (e spionistico) che portò a un ulteriore raffreddamento dei rapporti tra i due Paesi.
Anche a causa delle crisi internazionali che si sono susseguite negli ultimi tempi, e che vedono sempre Usa e Cina su fronti contrapposti. In un primo tempo l’Ucraina, dove Pechino rifiuta di condannare l’alleato Putin che, nel frattempo, ha molto migliorato la sua posizione. Ora Gaza, dove il governo cinese ha assunto un atteggiamento anti-israeliano, mentre Biden fatica a tenere a freno Netanyahu.
Il vero terreno di scontro, tuttavia, è in Asia, e in particolare nel Mar Cinese Meridionale. Non è soltanto il nodo di Taiwan a separare le due potenze. La Repubblica Popolare ha in pratica occupato militarmente questo importante tratto marittimo, intimando alle navi di altri Paesi di non solcare le sue acque. Si noti che le pretese cinesi non sono state avvallate dall’Onu, che ha ribadito il carattere internazionale delle suddette acque.
Di qui l’invio di navi militari americane e inglesi nel Mar Cinese Meridionale, con conseguente atteggiamento minaccioso della flotta di Pechino. Di qui, inoltre, la tensione con altre nazioni dell’area che rivendicano almeno parte del tratto di mare conteso. Di recente alcune navi filippine sono state addirittura speronate dai cinesi, mentre la tensione resta molto alta anche con Vietnam, Malesia, Brunei e Giappone.
Improbabile che Biden riesca a convincere Xi dell’inopportunità di occupare militarmente acque internazionali ma, in ogni caso, è evidente che il colloquio diretto può servire. Possibile, inoltre, che il presidente Usa chieda a Xi di esercitare un’azione moderatrice sulla teocrazia iraniana, con la quale Pechino ha ottimi rapporti.
Come sempre, si sa in pratica tutto delle difficoltà di Biden e poco o nulla di quelle di Xi, essendo la Repubblica Popolare sigillata da un apparato di censura onnipervasivo.
Si sa soltanto che la diplomazia e gli apparati di sicurezza di Pechino stanno lavorando per evitare che si ripetano a San Francisco contestazioni da parte dei cinesi all’estero come quelle avvenute nel 2017, durante l’ultimo viaggio negli Usa di Xi Jinping.