
Migliaia di migranti ammassati al confine bielorusso con la Polonia hanno cercato di entrare nell’Unione Europea. Il presidente bielorusso Alexander Lukashenko è accusato di avere cominciato una «guerra ibrida» al servizio di Mosca. Ylva Johansson, commissario europeo per gli Affari interni, l’ha definito un nuovo modo di «usare gli esseri umani in un atto di aggressione». La politica di Lukashenko è l’esempio di una dinamica delle migrazioni manipolate e usate come arma. La politologa Kelly M. Greenhilli, su Foreign Affairs, usa un termine intraducibile, «weaponisation of migrations». I migranti provenivano dall’Iraq e dal Kurdistan. A partire da giugno – scrive Foreign Affairs – sono stati attirati in Bielorussia con visti turistici e la falsa promessa che avrebbero avuto facile accesso all’Ue. Dopo le elezioni truccate del 2020, i leader europei hanno condannato il regime bielorusso e Lukashenko fa capire che è pronto a usare qualsiasi mezzo per ottenere la revoca delle sanzioni.
Il governo polacco ha inviato truppe per difendere il suo confine, utilizzando anche gas lacrimogeni e cannoni ad acqua. Nei giorni scorsi, i soldati polacchi hanno srotolato filo spinato al confine con l’enclave russa di Kaliningrad. In pratica una nuova cortina di ferro. Le autorità polacche avrebbero «informazioni preoccupanti» su voli che collegano il Medio Oriente e il Nord Africa con Kaliningrad. La Polonia ha costruito una recinzione fisica ed elettronica alta 5,5 metri e lunga 186 chilometri lungo il confine con la Bielorussia. Intanto, la Ue finanzia campi profughi e Paesi per arginare i flussi, mentre il famoso trattato di Dublino resta una chimera di cui a farne le spese sono i Paesi come l’Italia che non possono mettere il filo spinato in alto mare.
Dopo essere stata sommersa dai rifugiati della guerra civile siriana nel 2015, l’Ue ha accettato di pagare al governo turco sei miliardi di euro per ospitare i rifugiati sul proprio territorio e non farli entrare in Europa. «In questo modo, Bruxelles ha reso evidenti le sue preoccupazioni, che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan non ha esitato a sfruttare». Quando l’Ue ha iniziato a criticare la condotta delle operazioni turche nel nord della Siria, Erdogan ha minacciato di “aprire i cancelli e mandare 3,6 milioni di rifugiati verso di voi” se non avessero smesso di definire la sua offensiva siriana “un’invasione”. I Paesi di passaggio come la Libia, la Turchia e ora la Bielorussia hanno nuovi incentivi a usare la minaccia di una migrazione di massa per ottenere aiuti e concessioni. Sempre più spesso, la migrazione è diventata una questione non di politica e diplomazia, ma di coercizione, ricatto e affari sporchi», scrive Foreign Affairs.
Quando le rivolte della Primavera araba sono scoppiate nel 2011, Gheddafi cercò di dissuadere le forze dell’Ue dal fornire supporto alla ribellione avvertendo che stavano «bombardando un muro che ostacolava la migrazione africana verso l’Europa». I signori della guerra libica hanno intravisto una loro opportunità. I migranti africani sono stati rinchiusi in campi di detenzione libici che Amnesty International ha definito un «paesaggio infernale» per le loro condizioni insalubri e pericolose. «L’Unione Europea ha stretto accordi simili con il Sudan e l’Egitto. Mentre un tempo era più probabile che i migranti si dirigessero verso i Paesi vicini o seguissero rotte migratorie consolidate, nell’era dei social media e di Internet, le voci su nuove rotte circolano con estrema rapidità e i trafficanti di esseri umani diffondono disinformazione per incrementare gli affari».
È vero, non possiamo farci carico di tutti i drammi del mondo. Ma la tragedia dei migranti impone una presa di coscienza collettiva. Rischiamo di perdere la nostra umanità. Ne va dei fondamenti della civiltà e cultura europea. Alla politica spetta il compito di trovare soluzioni e contromisure. Ma a tutti s’impone di comprendere la dimensione dei fenomeni, di dominare la psicosi dell’invasione che lascia spazio a sterili polemiche e a strumentalizzazioni.
Basterebbero uno sforzo di memoria: sappiamo quanti profughi si sono riversati nella piccola Giordania (sei milioni di abitanti) dalla Siria devastata dalla guerra civile? Un milione mezzo, che andrebbero aggiunti al milione di palestinesi affluiti nei decenni. Ricordiamo quante centinaia di migliaia di siriani hanno invaso il Libano? La stessa Siria è stata a sua volta invasa da un milione di iracheni, in seguito alla sciagurata guerra americana in Iraq, prima causa della destabilizzazione dell’area. Oggi, il flusso proviene dalla Libia, lasciata nel caos dopo avere immaginato che fosse sufficiente togliere di mezzo Gheddafi per esportare democrazia. La piccola Tunisia è invasa da centinaia di migliaia di libici che hanno esposto la giovane democrazia al terrorismo e all’instabilità economica e sociale. E come dimenticare le emergenze che nei decenni passati hanno colpito Paesi non certo così ricchi e progrediti. Pensiamo ai campi profughi dei cambogiani in Thailandia, ai boat people vietnamiti approdati in Malesia e nella stessa Thailandia, ai profughi ruandesi che sconfinarono nella Repubblica democratica del Congo.
I disperati che approdano sulle nostre coste e le migliaia di vite che il mare cancella in una gigantesca fossa comune pagano anche la memoria corta, la percezione travisata dei fenomeni, la malapianta del razzismo. Come se fossero esseri inferiori rispetto alle decine di migliaia di tedeschi dell’Est che fuggivano dal comunismo e trovarono al confine della Germania campi di accoglienza, indirizzi d’ospitalità e persino contratti di lavoro. O rispetto ai boat people vietnamiti che gli Stati Uniti – anche per senso di colpa – trasformarono in cittadini americani. O rispetto ai profughi della ex Yugoslavia, sparsi a decine di migliaia nelle città europee. Meritavano, loro, più comprensione e solidarietà? E che dire oggi dei milioni di sfollati ucraini, approdati per lo più in Polonia, Svezia e Germania? Hanno più «diritti morali» degli africani?
L’Italia affronta in solitudine il primo impatto e giustamente invoca un maggiore impegno europeo. Ma la Germania, durante il cancellierato di Angela Merkel, accolse oltre un milione di siriani nel 2015 e accoglie ogni anno decine di migliaia di migranti. I dati europei dimostrano un maggiore impatto finale nei Paesi del Nord Europa, oltre a un saldo negativo complessivo della popolazione europea per effetto del calo delle nascite.
È ovvio che i numeri spaventino. La memoria e la statistica non rappresentano una soluzione. Ma ci aiutano a non perdere umanità. Ci ricordano, come diceva lo scrittore serbo Milos Crnjanski, uno che di migrazioni e diaspore se ne intendeva, che «nessuno va dove vuole».