Stati Uniti improvvisamente sui confini eritrei nell’area di Badme: lo sbocco dell’Etiopia al Mar Rosso. Il passaggio dal ‘chi se ne frega’ al ‘severo ammonimento’ alla parte africana, e una flotta Usa e soci, esibita ufficialmente agli Houthi yemeniti che da settimane minacciano le navi sul Mar Rosso con la bandiera di Gaza e l’obiettivo sciita-iraniano di dare qualche dispiacere alla politica americana nell’area la sintesi di Francesca Ronchin su ‘Analisi Mondo’. Quello ma non solo quello, come da sommario (notizie di stretta attualità del primo affaccio eritreo al Mar Rosso).
Senza mai dimenticare che da quelle parti naviga il 12% del commercio mondiale, il 10% del petrolio e l’8% del gas liquido. Assieme ai molti dei rifornimenti Usa a Israele per bombardare Gaza.
Minaccia isolamento Usa/Israele nell’area, e storici alleati come Egitto e Arabia Saudita sempre più vicini alla sfera d’influenza cinese e neo iscritti ai BRICS. Ed ecco che gli Usa, sulla scia di un incontrollabile Netanyahu, devono cercare di salvare il salvabile. Se non proprio gli accordi di Abramo, ma almeno ridurre la portata politica della mediazione cinese tra sciiti e sunniti, col mondo islamico che non apprezza affatto la politica di Biden con Israele su Gaza, e sulla risorta e irrisolta questione palestinese.
«Oltre ad essere snodo centrale della Via della Seta, con i suoi 1,251 chilometri di costa sul Mar Rosso, l’Eritrea è dirimpettaia dello Yemen e, grazie ai suoi ottimi rapporti con Arabia Saudita, Egitto e Sudan, potrebbe rivelarsi cruciale per gli equilibri dell’area», la sottolineatura di Francesca Ronchin. Mentre l’Etiopia, storico avamposto USA nell’Africa orientale, precipita nella sua crisi interna. Debiti per 3,5 miliardi di dollari del Fondo Monetario e altrettanti della Banca Mondiale. I Paesi BRICS la chiamano Usura. Ma di fatto l’Etiopia è ufficialmente in default.
Memoria dei 27 anni in cui comandava il ‘Fronte popolare di liberazione del Tigray’ e l’Etiopia ‘americana’ era avamposto prezioso in una zona strategica come il Corno d’Africa. Poi il premier Abiy Ahmed, fu Nobel, cambia politica e amicizie attorno. Fa la pace con l’Eritrea e con i suoi presunti amici terroristi somali di Al Shabaab. Promuove la ‘Diga della Rinascita’ sul Nilo Azzurro, a togliere acqua all’Egitto caposaldo Usa nel mondo arabo. E porta avanti una guerra dura all’etnia tigrina separatista. Con sanzioni Usa durissime per Adis Abeba.
Tutto cambia con la pace che il governo etiope ha firmato a Pretoria il 2 novembre 2022 e che conclude il conflitto «con un bilancio di un milione di morti e una spesa per il Paese pari a 25 miliardi di dollari», precisa l’attenta Ronchin. Dopo gli accordi di Pretoria i toni di Washington si ammorbidiscono, ma senza esagerare. «Dopo un inizio di belle promesse e dai toni panafricani, il governo di Abiy sta alimentando profonde divisioni etniche. La modifica alla Costituzione promessa nel 2018 non è mai arrivata e la specifica etnica è ancora nero su bianco sui documenti d’identità».
Tribù contro: «dopo aver accusato il TPLF di ‘tigrinizzare’ del paese, Abiy Ahmed, di etnia oromo, sta a sua volta ‘oromizzando’ i principali gangli del potere e in violazione della carta costituzionale, ha messo in piedi una guardia repubblicana di soli militari oromo che risponde direttamente al suo gabinetto». Evangelista ma non troppo. «Mentre un terzo dei bambini etiopi soffra di malnutrizione e l’87 % della popolazione sia povero o prossimo alla povertà, Abiy ha pensato bene di costruirsi una residenza per un costo stimato di 10 miliardi di dollari, un decimo del prodotto interno lordo del paese».
Dal miraggio di un ‘grande Tigray’, alla attualità di guerra di una ‘grande Oromia’. «Un mitologico ‘Oromo empire of East Africa’ fino al Mar Rosso». In alternativa, una ‘repubblica Oromia indipendente’, salvo ‘polizia etnica’ anche violenta della numerosa etnia Amhara, ad esempio. Anche ‘cristianità entica’ con sacerdoti Oromo staccati dalla chiesa ortodossa etiope. E dichiarare fuorilegge le forze militari regionali (compresi quei ’Fano’ che negli anni ’30 avevano reso difficile la vita agli occupanti italiani). Nazionalismo tribale folle di Abiy in un Paese di 120 milioni di abitanti appartenenti a 88 diverse etnie.
Escalation di guerra ignorata nel mondo. I ribelli Fano che sono arrivati a controllare anche il 60% della regione Amhara e l’esercito federale che ricorrere ad armi pesanti e a droni di provenienza turca. E qualcosa anche dalla Cina. Problema politico di non poco conto. Da che parte sta il governo di Addis Abeba? Una sola cosa era chiara già dal 1951, quando l’Ambasciatore John Foster Dulles (ad inizio di una folgorante carriera) aveva sottolineato la priorità dell’«interesse degli Stati Uniti nel bacino del Mar Rosso e le considerazioni di sicurezza e di pace mondiale» in chiave anti Unione sovietica.
Una analisi complessa da rinviare alla stesura originale ( https://www.analisidifesa.it/2024/01/nuove-tensioni-tra-mar-rosso-e-corno-dafrica/). Con un’ultima curiosità riproposta.