
Xi Jinping ora è diventato, anche ufficialmente, il leader cinese più potente dai tempi di Mao. Scavalcando anche la venerata figura di Deng Xiaoping, il “Grande timoniere”. Al XX Congresso del Partito comunista, il nuovo Comitato centrale ha messo in moto il meccanismo, quasi automatico, che ha portato alla sua conferma a Segretario generale. Un terzo mandato, che per essere concesso ha richiesto un cambio in corsa della Costituzione. Questa revisione, naturalmente, riguarda anche le altre due cariche statali detenute da Xi: la Presidenza della Repubblica e quella della Commissione militare. Tale secondo passaggio verrà formalizzato nel marzo del prossimo anno, con un’apposita sessione parlamentare.
Per Xi, il Congresso non doveva avere un grande impatto sulle aspettative di politica estera o economica del mondo esterno. Rafforzata, anzi, blindata la sua posizione (e adesso vedremo come), da ora in poi si vedrà la vera Cina di Xi. In primis, si è liberato di alcune potenti figure, all’interno del Partito, che avrebbero potuto insidiare la sua leadership assoluta, a cominciare dal premier, Li Keqiang. Mentre, invece, il vecchio Segretario, Hu Jintao, è stato “prelevato” senza tanti complimenti, in diretta televisiva dall’aula congressuale, e trasferito verso destinazione ignota. Tra i sette del Comitato permanente del Politburo rimangono, oltre a Xi, l’ideologo Wang Huning e un altro “duro e puro”, incaricato della lotta anticorruzione: Zhao Leji. E qui bisogna lanciare un avvertimento. Negli ultimi anni, questa guerra al malaffare amministrativo, secondo gli analisti occidentali, in molti casi era frutto di killeraggio politico. Insomma, veniva usata come strumento per sbarazzarsi degli avversari.
Dove, però, Xi ha sorpreso maggiormente i commentatori, è stato nella scelta degli altri membri del Politburo ristretto. Il primo, Li Quiang, Segretario del Pcc di Shanghai, il principale accusato del catastrofico blocco navale di quel porto, durante il decreto “zero-covid”. Una strategia voluta da Xi, che lui ha applicato senza battere ciglio, contribuendo ad affossare la catena degli approvvigionamenti globale. Li Quiang, ormai di fatto il numero due, potrebbe essere il prossimo premier. Il professor Yang Zhang, dell’American University di Washington, sostiene che la promozione di Li Quiang è la dimostrazione di come oggi, in Cina, per fare carriera sia più importante essere fedeli al capo, piuttosto che essere efficienti. Al vertice del Pcc entrano pure il Segretario del partito di Pechino (Cai Qi), quello di Guandong (Li Xi) e Ding Xuexiang.
“Reshuffling” abbondante anche nel Comitato centrale (205 componenti), che a sua volta ha dovuto scegliere i 25 dirigenti del Politburo, da cui vengono infine selezionati i “magnifici sette”. “Selezionati” è un modo di dire, perché in realtà è stato Xi Jinping a cooptare gli altri sei.
E veniamo ai messaggi, quelli realistici, lanciati dalla nuova Cina di Xi. All’apertura, con un discorso di un’ora e 45 minuti, Xi aveva tracciato le linee guida della sua strategia politica ed economica, di cui abbiamo già parlato nei nostri precedenti articoli. Xi, a proposito di Taiwan, ha chiarito che una soluzione ideale sarebbe “hongkongizzare” l’isola (come Macao), con la formula “un Paese due sistemi”. Naturalmente, accordandole ampi margini di autonomia. “In fondo – abbiamo anche scritto – quello che interessa Pechino sono i microchip e tutti i semilavorati ad alto valore aggiunto, indispensabili all’industria 4.0, prodotti a Taipei”. Questa frenesia tecnologica agita il nuovo comunismo cinese di Xi Jinping.
Nelle 72 pagine scritte (ma non lette) del suo discorso completo è delineata chiaramente una strategia: la Cina vuole vincere la corsa per diventare la prima potenza economica del mondo, puntando sulla ricerca scientifica e sulla tecnologia. E lo sforzo che verrà fatto, per bruciare le tappe, sarà immane. Xi ha già cominciato, plasmando i vertici del partito e trasformando la vecchia burocrazia in una “tecnocrazia” all’avanguardia.
Almeno sei nuovi membri del Politburo sono esperti di alto livello in settori come la missilistica, la medicina o diversi rami della tecnologia. Ma Xingrui (Xinjiang) e Yang Jiajun (Zhejiang) sono due ex comandanti del programma spaziale cinese, con incarichi di responsabilità nel partito. Li Ganjie (Shandong) e Chen Jining (sindaco di Pechino) sono apprezzati studiosi di problemi ambientali. Inoltre, Zhang Quoqing (Liaoning) è amministratore delegato di China North Industries, il più grande conglomerato produttivo per la difesa del Paese. E Yin Li (Fujian) è uno degli esperti di salute pubblica del Pcc. Tutti hanno studiato all’estero, maturando anche esperienze ad Harvard, in Francia e all’Imperial college di Londra.
Dei 205 membri del Comitato centrale, ben 29 sono ricercatori dell’Accademia delle scienze. Anche famosi ingegneri aeronautici, come Huang Qiang, “padre” del caccia invisibile cinese (J-20), hanno ottenuto cariche di alto profilo nel Pcc. Secondo gli analisti, lo sforzo di Xi Jinping si è moltiplicato dopo che Biden ha fatto votare il nuovo “Chips and Science Act”, che vieta alle imprese americane di collaborare con i cinesi in materia di semiconduttori.
Da qui il solenne impegno di Xi per garantire alla Cina l’autosufficienza tecnologica, passaggio cruciale per il suo sviluppo.