Il Papa in Africa inizia dal Congo, vittima del peggior colonialismo europeo.

Papa Francesco in Africa a ricordare al mondo un continente con enormi ricchezze e con le maggiori diseguaglianze e povertà. Tra i più ricchi e martoriati certamente il Congo, l’ex Congo Belga, a ricordare a tutti la storia dell’indegno re Leopoldo II. Sfruttamento feroce e sterminio. Studi recenti parlano di ottomilioni di vittime del dominio belga superando persino l’orrore nazista della Shoa. Nella crisi che ancora colpisce gran parte della popolazione congolese, sempre l’ombra del colonialismo. Sotto altre forme e non più soltanto europeo. Con le nuove superpotenze che oggi dominano militarmente ed economicamente il pianeta.

Civiltà e cultura

Intorno al 1875 il re del Belgio Leopoldo II era considerato un sovrano riformista e illuminato, fautore di opere pubbliche, di lavori di risanamento urbano e perfino favorevole al suffragio universale maschile. Come molti all’epoca credeva insomma nel progresso, ma cercava anche opportunità per far fruttare i propri capitali. Falliti i progetti di grandi investimenti in Asia o nelle Filippine, scoprì che nel centro dell’Africa esisteva un’area ancora libera dall’influenza delle altre potenze europee. Si trattava del bacino del fiume Congo, area immensa geograficamente e altrettanto promettente dal punto di vista economico. Proclamandosi paladino della cultura e della conoscenza, nonché dell’espansione della civiltà, sostenne le esplorazioni all’interno del paese con la scusa di abolire del tutto la tratta degli schiavi, favorire la pace tra i turbolenti capi-tribù e disporre di stazioni per la ricerca scientifica. Tra i più illustri ad aderire a questo programma vi fu Henry Morton Stanley, l’esploratore inglese assurto a notorietà mondiale per aver ritrovato nel 1871 il collega David Livingstone che si era smarrito in Tanzania alla ricerca delle sorgenti del Nilo. Tra il 1879 e il 1884 Stanley, finanziato dal re del Belgio, esplorò il corso del fiume Congo, ma soprattutto batté sul tempo le altre potenze coloniali presenti in Africa, cioè Francia, Inghilterra e Portogallo, a favore del piccolo regno belga, o meglio del suo sovrano.

Il dominio personale

Dopo complesse trattative internazionali nacque così lo Stato libero del Congo, al cui vertice fu posto Leopoldo II: il paese si proclamò neutrale, aperto ai commerci e agli scambi, contrario alla schiavitù e soprattutto – nel periodo iniziale – privo di dazi doganali e altre tasse su capitali o redditi. Fu definito ‘stato’, ma si trattava invece di un’anomalia, perché di fatto fu un ‘dominio personale’, caso mai visto nella storia del colonialismo. Per amministrare questo immenso territorio, grande ottanta volte il Belgio, fu istituita nel 1886 la Compagnia del Congo per il Commercio e l’Industria, mentre la macchina pubblica era esclusivamente nelle mani del sovrano. Un professore di diritto alla fine dell’Ottocento parlò di ‘stato ancora ai tempi dell’assolutismo di Luigi XIV’, ma i metodi erano peggiori di quelli di Gengis Kahn. Ben presto affluirono funzionari, imprenditori, commercianti e missionari, facilitati dal fatto che qualunque europeo poteva insediarsi dove voleva, anche perché dai tempi di Stanley i capi-tribù che avevano sottoscritto trattati scoprirono di aver rinunciato ai diritti sulle proprie terre. Esistevano insomma terreni della corona, terreni dello ‘stato congolese’ o terreni delle società: il resto furono definite «proprietà vacanti» che andarono al miglior offerente. E cominciò il saccheggio delle risorse, soprattutto caucciù e avorio: il primo era indispensabile per l’industria della gomma che si stava sviluppando in Occidente e il secondo un bene di lusso molto ricercato. Ben presto si affiancarono le miniere e si avviarono le piantagioni, ma assai raramente i lavoratori ricevevano un salario.

Brutalità estreme

Alla fine del XIX secolo in Europa più o meno tutti sapevano cosa accadeva in quella parte dell’Africa. Tra i tanti casi riportati fece molto scalpore il racconto di un missionario svedese che aveva assistito all’assassinio di un vecchio capo-villaggio congolese solo perché si era rifiutato di raccogliere il caucciù: era normale infatti che l’amministrazione sequestrasse temporaneamente un villaggio intero per destinarlo alla raccolta, ma di solito – per convincere i recalcitranti – erano sufficienti le bastonature. In qualche altro caso l’amministrazione ‘rapiva’ donne e bambini per costringere gli uomini al lavoro, senza contare che spesso gli irriducibili erano internati in veri e propri campi di concentramento dove la mortalità superava il cinquanta per cento. Calcoli recenti hanno stimato che il numero delle vittime di questo sfruttamento selvaggio e nello stesso tempo metodico si aggiri tra gli otto e i nove milioni, che però portarono alle casse personali di Leopoldo almeno cinquanta milioni di franchi oro dell’epoca. Finalmente, nel 1908, il Congo fu annesso al Belgio e cessò il dominio personale, ma un miglioramento si percepì solo a partire dagli anni Trenta con l’aumento della popolazione. La colonia del Congo belga sopravvisse fino al 1960, ma i tempi bui non cessarono del tutto, perché dall’indipendenza si svilupparono altre lotte sanguinose.

Il museo

Alla periferia di Bruxelles, nel quartiere di Tervuren, sorge un elegante e maestoso palazzo risalente alla ‘belle epoque’ come tanti edifici parigini o di altre capitali europee: uno stile che si adattava bene all’Hotel Negresco di Nizza o al Casinò di Montecarlo frequentati, tra la fine dell’Ottocento e lo scoppio della Grande Guerra, dalla scintillante mondanità europea e dalle teste coronate tra le quali anche Leopoldo II. Questo palazzo ospitava il Museo reale dell’Africa Centrale, inaugurato nel 1910, ma che oggi ha cambiato la sua denominazione in Africamuseum. Per la ricchezza delle collezioni composte da migliaia e migliaia di oggetti di grande interesse storico, artistico ed etnografico il museo si può definire unico al mondo e coraggiosamente ha anche allestito delle sale che non nascondono affatto gli orrori perpetrati durante il dominio coloniale. Sola ad essere rimasta intatta nell’allestimento novecentesco pare sia stata la cosiddetta sala ‘dei coccodrilli’, una sorta di museo nel museo. Il cambio del nome, il ringiovanimento degli allestimenti e la necessaria spolverata non hanno tuttavia sciolto l’ambiguità della questione che si nasconde dietro: attraverso lo sfruttamento sistematico e assassino della popolazione congolese e delle risorse naturali locali non si è arricchito solo un sovrano avido, ma un intero paese europeo ha comunque goduto di notevoli vantaggi. Ma il Belgio non fu l’unico …

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