Dalla notte dell’invasione alla paura dell’olocausto nucleare

«I sogni, a volte, possono morire anche prima dell’alba».

«La notte fra il 23 e il 24 febbraio di un anno fa, quando il mondo ha saputo che sì, la Russia di Vladimir Putin aveva davvero scatenato un’invasione vecchia maniera su larga scala in Ucraina, è morto ciò che restava del sogno – o del miraggio – dei cantori della fine della storia».

Alessandro Logroscino che scrive, è un amico e un prezioso collega della grande scuola ANSA -notizie sempre riscontrate e senza fronzoli inutili- ormai da anni corrispondente a Londra. Ma tra noi valgono gli anni di condivise avventure balcaniche dove assieme abbiamo imparato -lui molto più giovane di me- che le bombe, che siano quelle dei buoni o quelle dei cattivi, per chi le subisce non fanno alcuna differenza.
Ad Alessandro, dopo averlo letto su Ansa.it, delego il difficile compito di rappresentare anche Remocontro -posizione critica rispetto alla faciloneria del ‘tutti cattivi senza alcuna ragione’ da una parte e ‘tutti buoni e con tutte le ragioni’ dall’altra-, che riteniamo sia il modo migliore per alimentare le guerre invece di spingere al compromesso delle paci. Giornate di troppe commemorazioni e passerelle, letture critiche a tesi spesso precostituite (forse anche le nostre), rozze semplificazioni o ancora più assurde tifoserie di schieramento sulla pelle di quelli che -ucraini aggrediti o russi aggressori messi in divisa e spesso mandati inconsapevoli al macello- le bombe, appunto, le subiscono.

I sogni, a volte, possono morire anche prima dell’alba

La notte fra il 23 e il 24 febbraio di un anno fa, quando il mondo ha saputo che sì la Russia di Vladimir Putin aveva davvero scatenato un’invasione vecchia maniera su larga scala in Ucraina, è morto ciò che restava del sogno – o del miraggio – dei cantori della fine della storia. Da allora sono trascorsi 12 mesi di morte, distruzioni, atrocità ed escalation; e di quella guerra – ribattezzata in principio “operazione militare speciale” nella neolingua orwelliana del Cremlino – non si vede la fine. Se non nella prospettiva (o nelle velleità) di una qualche resa incondizionata del fronte nemico che nessuno, a rigor di logica fattuale e auspici a parte, riesce a spiegare come sia possibile pensare di ottenere evitando di dover giocare prima o poi a dadi con lo spettro di un’apocalisse nucleare.

Il falso epilogo della Guerra fredda

Qualcosa che l’immaginario collettivo mainstream dell’Occidente aveva sotterrato fra le vaghe memorie degli incubi degli anni ’50 e ’60 del XX secolo almeno a partire dalla stagione suggellata dai proclami di vittoria per l’epilogo della Guerra Fredda all’ombra dell’ammainabandiera sovietico. Epilogo scambiato da molti per una vittoria militare vera, rivendicato come la pretesa di un che di definitivo. Ma in realtà mai consolidato in nulla di condiviso fra i vincitori dichiarati e i presunti sconfitti. E in fin dei conti foriero di malintesi pericolosi.

Tra est ed ovest del mondo

In un quadro di sentimenti assai diversi fra ovest ed est del mondo (intesi come spazi sia geografici sia culturali o di mentalità) dinanzi ai progetti di “nuovo ordine mondiale democratico”: evocati dagli uni con le semplificazioni di un autocompiacimento baldanzoso; dagli altri tra recriminazioni, frustrazione, regressioni autoritarie, sospetti a tratti ossessivi. Un panorama di cui oggi restano le scorie, innaffiate dal sangue dei campi di battaglia dell’Ucraina in un panorama che fa sfumare in secondo piano persino gli incubi freschissimi dell’epocale pandemia planetaria da Covid. E le macerie di troppe illusioni.

‘War to end all wars’

In Occidente le illusioni alimentate dalla convinzione che la Guerra Fredda potesse essere archiviata ancora una volta come una “war to end all wars”, secondo l’infausta retorica wilsoniana (ripresa da H.G. Wells e tragico inganno del primo conflitto mondiale): “una guerra per mettere fine a tutte le guerre” destinata a partorire, come per volere del fato, la pace sotto dettatura della democrazia liberale. In Oriente quelle di chi, come Putin, logorato da quasi 25 anni di potere autocratico, ha scommesso infine tutto su un preteso diritto di regolare al dunque i conti geopolitici a costo di sfidare alle fondamenta i principi della legge internazionale; aggrappandosi magari al wishful thinking di riuscire a far implodere le contraddizioni interne ad un asse Usa-Europa che per ora si è semmai compattato.

Nuova pagina, ma verso cosa?

La storia, in ogni caso, sembra aver girato pagina di nuovo. E solo il tempo potrà dire se verso qualcosa di meno peggio dei sinistri scenari odierni, dopo una lunga parentesi di violenza, o verso un terrificante buco nero. Nell’attesa, a pagare il prezzo più alto continuano a essere gli ucraini: protagonisti nei loro confini d’una resistenza coraggiosa in questi mesi, superiore alle aspettative di Mosca e non solo; ma al contempo pedine d’una partita a scacchi (se non ancora d’uno scontro diretto) che li sovrasta in dimensione globale.

La macchina assassina e bugiarda della guerra

La sintesi di quest’anno 1 è una trama di lacrime e sangue, di bombardamenti e mobilitazioni, di denunce di crimini bellici efferati e bollettini di propaganda inevitabili in un contesto di guerra nel quale – come è arcinoto – prima vittima è sempre la verità: macinata dalla macchina della propaganda degli aggressori, e qualche volta pure degli aggrediti, tra disinformazione, istinto di sopravvivenza, pressione sulla trincea interna, tentativi di condizionamenti incrociati con Paesi amici.

La trama degli orrori

Una trama disegnata nelle prime settimane dall’azzardo di un’invasione su più fronti; poi dall’avanzata russa fermata alle porte di Kiev (e macchiata fin da subito, fallimento o diversione che fosse, da brutali atti di ferocia come a Bucha); dalla presa di Mariupol fra le devastazioni dell’Azovstal; dalla sorprendente controffensiva ucraina a Kherson; dall’escalation missilistica del generale Surovikin su infrastrutture strategiche anche civili; dalla parallela escalation degli aiuti militari degli alleati Nato alle forze del presidente Volodymyr Zelensky; e dalla transizione da una strategia militare in parte di manovra a una guerra di attrito inesorabile (nelle intenzioni di Mosca) come 80 o 100 anni fa.

La posta in gioco

Sullo sfondo di un innalzamento della posta per gli attori in campo fino alla sopravvivenza stessa di leadership, territori e Stati che minaccia i margini d’un qualsiasi compromesso futuro.

La terza guerra mondiale a pezzi

Mentre la “terza guerra mondiale a pezzi” evocata a suo tempo da papa Francesco sembra trasformarsi nella profezia di uno spaventoso mosaico in via di composizione, cullata da scampoli di narrativa a fumetti che – dalla politica, ai media, a frotte d’ignari avventori del bar sport dei social – paiono talora rompere gli argini di ogni tabù.

Tanto da indurre gli scienziati del Bulletin of the Atomic Scientists, custodi di una certa idea di disarmo e pacifismo sempre più fuori moda, a spostare le lancette del loro orologio dell’Armageddon (il Doomsday Clock) da 100 a 90 secondi “alla mezzanotte”: mai così vicino, dal 1947 in avanti, alla buia ora X di un potenziale olocausto dell’umanità.

Condividi:
Altri Articoli
Remocontro