
Accordi traditi. E a certificare la vergogna, il fatto che non ci sono state cerimonie ufficiali per l’anniversario, né in Israele né nelle aree palestinesi. Scetticismo dopo la disillusione. Su Haaretz, Uzi Baram, ex ministro laburista molto vicino a Rabin, ha denunciato che quegli storici accordi sono diventati – a causa delle politiche successive – «Un fallimento, sia per gli israeliani che per i palestinesi». Eppure quel momento storico è rimasto nella memoria collettiva con l’immagine di Rabin e Arafat insieme sul prato della Casa Bianca, nel quasi abbraccio di Clinton, e nascosti ma garanti il segretario di Stato Usa Warren Christopher e dal ministro degli Esteri russo, Andrei Kozyrev. La stretta di mano fra Arafat e Rabin, entrambi poi Nobel della Pace con Peres. Rabin pagò con la vita quel gesto, ucciso da lì a poco dall’estremista ebreo di destra Yigal Amir.
L’intesa – con il reciproco riconoscimento politico fra le parti – prevedeva il ritiro di Israele da aree della Striscia di Gaza e della Cisgiordania e il diritto palestinese all’autogoverno con la nascita dell’Autorità nazionale palestinese. Dagli accordi furono lasciati fuori – per essere affrontati dopo – i temi spinosi di Gerusalemme, dei rifugiati palestinesi, degli insediamenti israeliani, della sicurezza e dei confini. L’accordo – in vista di uno status finale – stabiliva intanto la suddivisione della Cisgiordania in tre zone: A, sotto pieno controllo palestinese; B, sotto controllo civile palestinese e israeliano per la sicurezza; C (a forte presenza di insediamenti ebraici), sotto pieno controllo israeliano.
Da allora la situazione è degenerata. In Cisgiordania è sempre più irrilevante il controllo dell’Anp di Abu Mazen, scalzato da Hamas e dalle altre componenti palestinesi spesso armate a contrastare una destra religiosa al potere che sostiene l’espansione delle colonie ebraiche in terra palestinese e una politica di apartheid. In Israele, al governo ormai da oltre un decennio, sono subentrate forze e leader contrari agli accordi, come il premier Netanyahu, se non addirittura antitetiche ai vincoli e allo spirito di quella stagione politica.
«La notizia è esplosa come una bomba nel giorno del trentesimo anniversario dell’Accordo di Oslo dal quale è nata l’Autorità nazionale palestinese», avverte Michele Giorgio. Israele ‘avrebbe approvato’ (mai fidarsi di Netanyahu) l’invio di decine di veicoli blindati e di 1500 mitra dagli Stati uniti alle forze di sicurezza agli ordini del presidente dell’Anp Abu Mazen. Incontenibile la rabbia dei ministri Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir, i leader dell’estremismo israeliano, convinti che la mossa sia stata fatta a loro insaputa da Netanyahu che starebbe complottando per gettare le basi di un governo con la destra moderata di Benny Gantz e i partiti centristi. Il quotidiano palestinese Al Quds conferma la spedizione di mitra e blindati facilitata dalla Giordania.
Saranno utilizzate dalle forze di sicurezza dell’Anp per ristabilire la loro autorità su città della Cisgiordania, come Nablus e Jenin, dove i combattenti palestinesi, sostenuti dalle popolazioni locali, hanno il controllo della situazione.
Ieri tutti i 15 giudici della Corte suprema, hanno cominciato ad esaminare i ricorsi presentati da deputati e da varie associazioni della società civile contro la legge della riforma giudiziaria approvata in Parlamento dal blocco delle destre che ha modificato la «clausola di ragionevolezza», ossia il potere di controllo che consentiva proprio alla Corte suprema di poter respingere atti della Knesset e del governo. Se le cose andranno come vogliono Netanyahu -l’esempio emblematico citato da Michele Giorgio-, un leader di partito condannato e incarcerato per corruzione come Arye Deri potrà far parte del governo. A inizio anno la Corte aveva respinto la sua nomina a ministro perché, appunto, «irragionevole». Se ne gioverà anche il primo ministro, sotto processo per corruzione, truffa e abuso di potere.
Ma proprio il partito dell’inquisito Netanyahu, il Likud, ieri ha ammonito la Corte suprema: «La nuova legge sulla ragionevolezza è una linea rossa, se i giudici la annulleranno vuol dire che hanno preso il potere nel paese».