Terrorismo, la guerra di chi si sceglie il nemico e il bersaglio

L’indignazione generata dalla paura, e la rabbia che nasconde l’impotenza, l’angoscia creata del nemico fantasma.

E la follia della strage di innocenti a fomentare un odio altrettanto indiscriminato verso qualcuno o qualcosa contro cui poter dichiarare guerra.

Il terrorismo è un altro modo per fare la guerra, un altro modo di condurre battaglie e imporre idee, costumi e superiorità politica ed economica. La grande differenza con le guerre del passato è nel fatto che la prima linea delle vittime non è più composta da militari, ma da civili, da noi, dai nostri cari. Ed il fronte di questa guerra è ovunque. Negli ultimi anni abbiamo identificato il terrorismo con un aereo che abbatte un grattacielo, la strage nella redazione di un giornale o ad un concerto rock, o un camion lanciato come bomba a compiere strage. E questa è guerra.

Guerra ‘Prêt-à-porter’, pronta all’uso degli odi o dei rancori di tutti, con armamenti facili e bersagli possibili infiniti. Guerra dispari per eccellenza, dove chi decide di condurla facendosi militante, decide anche chi sia il ‘nemico’ e quale il bersaglio più facile da colpire. Come è accaduto ieri sera a Berlino di fronte alla Gedächtniskirche, la chiesa rimasta in piedi come per miracolo dopo un bombardamento alleato nella Seconda guerra mondiale e diventata, con quel suo campanile ancora oggi mozzato, un memoriale per la pace e uno dei simboli di Berlino.

I tedeschi sapevano che la tempesta stava per arrivare. Minacce esplicite e segnali colti dall’intelligence. C’è chi ci ricorda che dal territorio tedesco sono partiti circa 820 volontari, diretti in Siria e in Iraq. Una trentina sono morti, 270 sono rientrati, potenziali ‘cellule dormienti’. Solo pochi giorni fa a Ludwigshafen la polizia aveva bloccato un ragazzino di appena 12 anni. L’Isis lo aveva istruito per compiere un attacco sempre contro un mercatino natalizio usando bombe rudimentali riempite di chiodi. Baby assassini e camion bomba.

A novembre Rumiyah, la rivista online dello Stato islamico, ha riproposto in dettaglio come ripetere il massacro di Nizza del 14 luglio. Il suggerimento è stato accompagnato da una scheda di un paio di pagine, minuziose e dettagliate, sul modello ideale di camion, le tattiche per evitare ostacoli, le ricognizioni necessarie, il modo per rendere il mezzo più letale con l’aggiunta di alcune modifiche, i possibili target con riferimenti espliciti a eventi di massa in aree urbane, il porre attenzione a divieti, rotte d’accesso. E poi come cercare di sottrarsi alla cattura dopo la strage.

Sempre ieri l’assassinio dell’ambasciatore russo ad Ankara, compiuto da un giovanissimo poliziotto turco al grido di ‘Allahu akbar’. Sintesi tra i due episodi figli dello stesso estremismo islamico, una analisi dell’agosto scorso del ministero dell’Interno tedesco. La politica interna ed estera di Ankara gradualmente islamizzata da Erdogan. Le rivelazioni sul sito del quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung citando il documento parlamentare della cancelleria basato su una valutazione dei servizi segreti tedeschi, il Bnd. Il problema della Turchia nella Nato.

La Turchia problema Nato, ma il problema del terrorismo islamico è altro. E torna la memoria comune del terrorismo oggi. Quindici anni fa, un gruppo di 19 terroristi, dei quali 15 con passaporto dell’Arabia Saudita, dirottarono quattro aerei di linea negli Stati Uniti. Due furono lanciati contro le Torri Gemelle di New York. Uno contro il Pentagono, il ministero della Difesa Usa, a Washington. Il quarto doveva schiantarsi di nuovo a Washington, la capitale, sul Campidoglio. Quel giorno morirono 2.977 innocenti. E fu dichiarata guerra planetaria al terrore.

Dal 2000 al 2016, i morti per atti di terrorismo, nel mondo, sono aumentati di nove volte. E da più di due anni una coalizione di 70 Paesi non riesca a sconfiggere l’Isis. Com’è possibile? Leggiamo ciò che scriveva ‘Council on Foreign Relations’ Usa sui finanziamenti ai terroristi. «Per anni, singole persone e charities con base in Arabia Saudita sono stati la più importante fonte di finanziamento di Al Qaeda. E per anni le autorità dell’Arabia Saudita hanno fatto finta di non vedere». Riad assieme ai Paesi del Golfo dove si pratica l’islam wahhabita.

Ma nel 2010 gli Stati Uniti decisero la più grande vendita di armi nella storia degli Usa verso un singolo Paese: 62 miliardi di armamenti destinati all’Arabia Saudita. Pochi mesi dopo, Wikileaks diffuse decine di migliaia di documenti interni del Dipartimento di Stato Usa. Uno, diffuso dagli uffici di Hillary Clinton, diceva: «L’Arabia Saudita resta una base decisiva di supporto finanziario per Al Qaeda, i talebani, Lashkar-e-Taiba e altri gruppi terroristici, compreso Hamas». Però le armi americane gliele daranno lo stesso. 62 miliardi di ragioni per non avere scrupoli.

Negli attentati dell’11 settembre 2001 a New York, morirono persone che provenivano da 90 Paesi diversi. Fu una tragedia mondiale. Quindici anni dopo, anche la rimozione è stata mondiale.

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