
Spesso, accendere una luce su un fatto sconosciuto o quasi del nostro recente passato, ci aiuta a tenere alta l’attenzione sull’importanza della memoria e sulla necessità di salvaguardarne la correttezza e completezza.
E’ per questo che mi sono deciso a scrivere un libro su ciò che è accaduto in Spagna subito dopo la fine della sanguinosa guerra civile che nel 1939 portò al potere con un colpo di Stato, Francisco Franco.
Fu allora che iniziò un infame traffico, andato avanti per quasi cinquant’anni, di cui si sa pochissimo: i furti sistematici di bambini, rubati alle loro madri naturali per essere affidati a coppie fedeli al regime.
La giustificazione iniziale fu quella di impedire a questi bambini di essere infettati dal “virus” che aveva colpito i genitori, l’appartenenza al marxismo o a qualunque altra forma di opposizione alla dittatura.
Nel giro di pochi anni, grazie a due leggi promulgate dal Generalissimo per facilitare le adozioni, nel 1940 e 1941, furono rubati 30mila bambini, secondo i dati dell’unica inchiesta effettuata all’inizio degli anni ’90, da un magistrato, Baltasar Garzon, subito bloccato dalla Suprema Corte, con una motivazione molto discutibile: abuso di potere.
I furti andarono avanti fino alla fine degli anni ’80, camuffati successivamente come atti di generosità nei confronti di madri in difficoltà, o perché nubili, o perché povere al punto di non poter sostenere i propri figli.
Spesso con la complicità di religiosi e suore, che avevano creato una rete di assistenza alle partorienti, su tutto il territorio spagnolo. Così potevano, senza problemi, affidare i bambini a coppie di provata fede, in cambio di sostegni finanziari ai loro istituti.
Per questo, al libro è stato dato il titolo “In nome di Dio e della patria”.
Subito dopo il parto, che avveniva in cliniche compiacenti, alle mamme che chiedevano di vedere il figlio o la figlia appena nata, i medici e le suore raccontavano sempre la stessa bugia: il bambino è nato morto, di non preoccuparsi, perchè alla sepoltura avrebbero pensato loro, per evitare inutili traumi ai genitori.
E se qualcuno insisteva per vedere un’ultima volta il figlio o la figlia, le infermiere della clinica mostravano, ma a debita distanza, un corpicino avvolto in una coperta.
Veniva conservato in una cella frigorifera, per le emergenze, come scoprì nell’81 un cronista di una rivista popolare spagnola, Intervue. Ma il suo articolo e le sue fotografie del bambino morto, finirono presto nel dimenticatoio. Non era ancora maturo il tempo per sollevare uno scandalo su quel traffico infame.
L’anno scorso, con l’aiuto di una giovane e coraggiosa reporter di El Pais, uno dei quotidiani più diffusi in Spagna, ho potuto incontrato alcune madri alla ricerca dei propri figli perduti, e figli alla ricerca delle madri naturali, raccogliendo le loro testimonianze in un libro.
Un sociologo e un avvocato mi hanno aiutato a ricostruire il quadro storico in cui si sono svolti questi furti e spiegato come e perché il traffico è proseguito indisturbato fino al 1987, ben dieci anni dopo la fine della dittatura franchista.
La foto più famosa di Robert Capa. Soldato repubblicano nell’attimo in cui viene colpito dai franchisti
Solo allora un governo, presieduto dal socialista Felipe Gonzales, si decise a promulgare una nuova legge per le adozioni, aumentando i controlli su cliniche e orfanotrofi che gestivano il traffico illegale.
Ma sulle dimensioni abnormi di questo traffico infame, che secondo le associazioni dei familiari delle vittime ha coinvolto quasi trecentomila bambini in cinquant’anni, non si è saputo nulla fino al 2007, quando un altro presidente del consiglio socialista, Zapatero, è riuscito a far promulgare dal Parlamento spagnolo una legge per indagare sui crimini del franchismo. L’hanno chiamata non a caso “legge per il recupero della memoria storica”.
Perché ci sono voluti quasi trent’anni dal ritorno della democrazia, sanzionato dalla nuova Costituzione approvata nel 1978, per tirare fuori quegli scheletri dall’armadio?
Per avere una risposta basta risalire all’anno precedente al varo della Costituzione, al 1977, quando venne promulgata una legge di amnistia generale, una sorta di “patto dell’oblio”, che stendeva un velo su tutte le malefatte dei franchisti, dalla guerra civile in poi.
Fu il frutto di un accordo fra le forze politiche, per evitare traumi nel passaggio dalla dittatura alla democrazia. Un accordo che alla luce di quanto sta venendo fuori oggi da quell’”armadio della memoria”, non si sbaglia a definirlo scellerato.