
Tutto, in Libia, deve tendere verso l’unità del Paese e tutto va fatto perché questa unità arrivi presto. È questa la formula un po’ ideologica e marcatamente politica, che il governo italiano ripete a chiunque si avvicini alla questione: ‘lavoriamo per l’unità’. Omesso opportunamente di dire, è che questo obiettivo, «questa complicata fusione del panorama politico e istituzionale (ed economico, ca va sans dire) della Libia, un Paese diviso se va bene in Tripolitania e Cirenaica e se va male in decine di piccoli gruppi e gruppuscoli di potere, va perseguita ‘a ogni costo’». ‘Il destino della Nazione’, direbbe qualche maestro di Giorgia Meloni. «Che, in Libia come altrove, oggi si chiama Eni».
«Il colosso petrolifero libico, National Oil Corporation (Noc), ha annunciato la ripresa delle esplorazioni petrolifere da parte dell’Eni nella regione offshore nel nord-ovest della Libia, rimasta inattiva per oltre cinque anni, questa è solo la punta di un iceberg di risorse energetiche immense sulle quali l’Ente nazionale idrocarburi vuole (ri)mettere le sei zampe. Ci sono alcuni fatti che possono essere osservati per comprendere come il memorandum Italia-Libia del 2017 sia ancora vivo, con una Italia pienamente operativa».
Prima esibizione di forza, elenca il manifesto, le prossime esercitazioni militari ‘Flintlock 26’ di Africom, il comando militare americano in Africa, che si svolgeranno nella primavera del prossimo anno nei pressi di Sirte, in Libia, e vedranno l’inedita partecipazione delle forze armate di entrambi i governi libici. ‘Flintlock’, guidata dallo ‘Special forces command Africa’, riunisce nazioni alleate «per migliorare l’interoperabilità e rafforzare la capacità di condurre operazioni antiterrorismo». Ma quali ‘alleati’ e quale obiettivo? Quest’anno anche l’Italia, ‘Comando operazioni speciali’ per «la pianificazione e l’esecuzione della missione in Libia, insieme alle missioni in Mauritania e Costa d’Avorio». Chi sa se ne hanno mai sentito parlare in Parlamento?
«Il supporto e il coordinamento dei leader libici da est e da ovest, insieme alla leadership dell’Italia, sono cruciali per il successo di Flintlock 26. Abbiamo una partnership crescente e preziosa con le forze libiche di tutto il Paese e non vediamo l’ora di condurre un addestramento che supporti direttamente gli sforzi di riunificazione della Libia» ha detto il generale John Brennan, vicecomandante di Africom, presentando l’esercitazione a ottobre.
Poi, Italia armata, le immagini di quest’estate dei soldati libici delle forze speciali Saiqa e della 155sima Brigata del generale Khalifa Haftar al Centro di addestramento di paracadutismo a Pisa e la caserma Pisano di Capo Teulada in Sardegna. Il terzo elemento è l’incontro di Misurata di fine ottobre di Khaled Khalifa Haftar, figlio del leader cirenaico, che ha riunito diversi leader militari e della sicurezza dell’Est e dell’Ovest del Paese per discutere la creazione di una forza di sicurezza nazionale congiunta, ‘libera da interferenze esterne’. Questa forza unificata sarà destinata alla lotta al terrorismo e all’immigrazione clandestina e un ruolo di primo piano dovrebbe averlo proprio la 155esima Brigata.
Semionascosti ma importanti. Il primo riguarda il caso Almasri: il miliziano torturatore che, arrestato in Italia, è stato rispedito a casa con un volo di Stato in barba a ogni norma internazionale. Il secondo riguarda il congelamento dei conti bancari dell’ambasciata libica a Roma, provvedimento di fine settembre richiesto da Unicredit per recuperare debiti pregressi della rappresentanza diplomatica libica in Italia, che ha ottenuto un’ordinanza del Tribunale che ha ridefinito i limiti dell’immunità diplomatica, immunità riconquistata in un paio di giorni con il ritorno alla piena operatività dei conti correnti.
C’è poi un ultimo tassello, forse meno serio ma altrettanto significativo, che riguarda la fase finale del campionato di calcio libico a Milano e provincia, durata diverse settimane, con polemiche a non finire tra alberghi non pagati, negoziazioni con i portieri di notte e risse poco sportive. Il minimo comun denominatore di tutte queste ‘cose libiche’ è uno soltanto: «lasciar fare, il manovratore sta manovrando e non va disturbato. In nessun caso. A nessun costo». Questo, e anche tanto altro come le accuse di Refugees in Libya sui lager realizzati nel Paese con soldi canalizzati dal Viminale, è il memorandum Italia-Libia di oggi: lasciateli fare.