
Due situazioni con un denominatore comune: la gestione corrotta delle enormi risorse naturali e minerarie, di cui approfittano sempre più Cina, Russia e Stati Uniti, mentre l’Europa resta ai margini e subisce i contraccolpi di ondate migratorie e conflitti etnici.
L’Africa ha ormai il record di presidenti in terza età e praticamente al potere a vita. Dal camerunese Paul Biya, 92 anni, appena rieletto – il bisnonno dei suoi elettori! – al guineano Teodoro Obiang (83) che ha nominato vicepresidente il figlio, all’ugandese Yomeri Museveni (81), all’ivoriano Alassane Ouattara. (83), al congolese Denis Sassou Nguesso (81). Alcuni, negli anni Settanta, erano considerati i padri dell’indipendenza. Ma sono diventati i padrini. A questi dovremmo aggiungere Paul Kagame, il presidente del Ruanda, più giovane (68 anni), ma al potere subito dopo la guerra civile e il genocidio dei tutsi a metà degli anni Novanta. Ha indubbiamente favorito sviluppo e pacificazione del Paese, governa con il pugno di ferro e conduce una politica di espansionismo militare nella vicina Repubblica democratica del Congo. Paul Biya, anche per motivi di salute, passa molto del suo tempo in Svizzera.
Ovunque le opposizioni sono represse. Tuttavia, avendo nelle mani tutte le leve del potere e l’esercito, questi personaggi garantiscono una relativa stabilità e una crescita mediamente superiore a quella dell’Africa subsahariana. Per questo, Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, Paesi tradizionalmente amici, hanno avuto un occhio di riguardo, chiudendo l’altro su diritti umani e corruzione. In particolare, la politica della Casa Bianca ha accentuato questo atteggiamento. Il Dipartimento di Stato ha dato indicazione ai diplomatici di non commentare i processi elettorali nei Paesi Africani.
Al presidente Donald Trump interessano accordi commerciali, sfruttamento di risorse (soprattutto terre rare) e limitazioni dei flussi migratori, con proposte ad alcuni Paesi africani di accogliere i richiedenti asilo degli Stati Uniti. Dopo il Sud Sudan e il Ruanda, l’ultimo esempio è l’Uganda. Recentemente, la Casa Bianca ha accentuato l’attenzione sull’AES, l’Alleanza degli Stati del Sahel – Mali, Burkina Faso e Niger – teatro di recenti colpi di stato e protagonisti di una clamorosa rottura con la Francia, ex potenza coloniale. «Più pragmatica e alla ricerca di materie prime, in particolare minerarie, l’amministrazione Trump non esiterebbe a offrire i propri servizi di sicurezza alle giunte del Sahel, in cambio di un accesso privilegiato alle risorse strategiche di cui sono ricchi Mali, Burkina Faso e Niger», afferma Le Djely, foglio guineano, ricordand che sotto Joe Biden i colpi di Stato militari avevano invece fatto sospendere le relazioni. Questa nuova dottrina americana, come la definisce Le Djely, «potrebbe diffondersi come un’onda in tutto il continente africano».
Al tempo stesso, la Casa Bianca ha deciso lo smantellamento dell’Agenzia americana per lo sviluppo internazionale (USAID), cancellando oltre l’80% dei suoi programmi. Una decisione che ha pesato, e peserà, sulla vita e sulla salute di milioni di africani. A questa svolta si somma l’annuncio di pesanti dazi doganali. Secondo la CNN, «Trump tiene d’occhio le ricchezze minerarie dell’Africa», e gli Stati Uniti vogliono contestare l’accesso della Cina ai minerali essenziali della regione. Trump si vanta anche in Africa di successi diplomatici, come la pace firmata lo scorso giugno tra la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda, anche se i combattimenti continuano.
Trump ha ricevuto cinque capi di Stato africani per discutere di «opportunità commerciali». La CNN ha subito notato che, mentre l’incontro mirava a creare opportunità economiche tra le due aree geografiche, solo cinque Paesi (Mauritania, Guinea-Bissau, Liberia, Senegal e Gabon) sui 54 che compongono il continente erano stati invitati. Esclusi, i giganti economici africani come il Sudafrica, la Nigeria, l’Egitto e l’Etiopia, non casualmente membri dei BRICS o aspiranti a far parte di questo gruppo di economie emergenti. I membri dei BRICS sono stati minacciati da Trump con dazi doganali proibitivi per aver sostenuto politiche presentate come «antiamericane».
Cina prima in Africa
L’obiettivo della Casa Bianca è contrastare la Cina, principale partner commerciale bilaterale dell’Africa, e la Russia, che ha esteso la sua influenza, come fornitore di materiale militare e contractor di formazioni militarizzate. Dei giochi fra grandi potenze, approfitta il gerontocomio al potere nel continente più giovane del pianeta.