
Riorganizzato il ‘campo di gioco politico’ a Baghdad. Ogni governatorato trasformato in collegio unico che nei distretti premia macchine territoriali, brand religiosi, reti clientelari. ‘Formalmente proporzionale, sostanzialmente conservativo’ la sintesi di InsideOver. «Il sistema non impedisce l’ingresso delle novità: le rende care, rischiose, lente. È una restaurazione senza proclami», avverte Giuseppe Gagliano.
Il boicottaggio della ‘corrente sadrista’ sciita e filo Iran, toglie dal campo la forza popolare più capace di mobilitare piazza e seggi. Ma l’assenza non annulla il consenso: «lo iberna. Qualsiasi governo nato dall’11 novembre potrà contare su una maggioranza parlamentare, non necessariamente su un’autorevolezza sociale. La rappresentanza irachena torna così a essere triangolata tra blocchi sciiti organizzati, partiti curdi divisi tra Erbil e Sulaimaniyah e un universo sunnita frammentato. La somma fa stabilità procedurale, non soluzione dei conflitti».
Sul versante strategico-militare, il nuovo equilibrio favorisce lo status quo: le Forze di Mobilitazione Popolare restano architrave tra sicurezza e politica; la riforma del settore difesa procede a colpi di circolari; la minaccia residua dello Stato islamico è contenuta ma non cancellata nelle aree di confine. «La competizione a bassa intensità tra Iran e Stati Uniti continua a scriversi in sigle, budget e catene di comando spesso confuse. Un governo costruito su grandi blocchi avrà i numeri per firmare memorandum, meno per disinnescare i circuiti di lealtà che controllano e ancorano milizie, ministeri e appalti».
L’Irak della grande rendita resta inchiodato al paradosso: entrate record che non producono servizi affidabili. Con il ritorno al ‘proporzionale all’irachena’, la spesa seguirà la geografia del voto: assunzioni pubbliche, contratti a breve, sussidi energetici. È la benzina che alimenta la macchina dei partiti tradizionali e sterilizza ogni spinta riformatrice. «Le partite strategiche – elettrificazione, gas flaring, manutenzione della rete, riforma bancaria – rischiano di restare nel recinto delle intese con pochi grandi partner, lasciando al margine PMI e amministrazioni locali».
Sul piano esterno, Baghdad continuerà a muoversi tra vincoli e opportunità. «In OPEC+ l’Iraq è ago della bilancia irrequieto: ha bisogno di cash flow (la liquidità effettiva) ma deve rispettare i tagli». Le infrastrutture decideranno la prossima legislatura più della politica: oleodotti verso Turchia e Giordania, corridoio ‘Development Road’ connesso ai porti del Golfo, accordi integrati su petrolio-gas-rinnovabili con i grandi player internazionali. «La coabitazione fra capitali occidentali e cinesi è probabile: meno probabile è che la burocrazia fiscale, doganale e giudiziaria riesca a tenere il passo senza un mandato politico forte».
Il contenzioso tra governo federale e Kurdistan su esportazioni, riparti di bilancio 8soldi da dividere) e status dei ‘peshmerga’ rimarrà il barometro della federazione. Il metodo elettorale premia i negoziatori esperti, non i massimalisti: ma senza un’intesa credibile sui flussi finanziari e sui dazi, la ripresa delle esportazioni via porto di Ceyhan (il terminale occidentale del oleodotto Baku–Tbilisi–Ceyhan e punto di arrivo dell’olio proveniente dall’Iraq tramite l’oleodotto Kirkuk–Ceyhan) resterà intermittente. «E ogni intermittenza si traduce in minori entrate e maggiore conflittualità amministrativa».
Con il metodo elettorale ‘Saint-Laguë’ che garantisce una ripartizione proporzionale dei seggi, riducendo il vantaggio per i partiti più grandi, cambiano i meccanismi, non i rapporti di forza. I partiti storici consolidano il controllo dei seggi e delle leve della spesa; gli indipendenti sono spinti ai margini; la domanda sociale – servizi, lavoro, anticorruzione – resta il convitato di pietra. La politica irachena riacquista prevedibilità. «Ma prevedibilità non significa trasformazione. Senza un patto trasversale su sicurezza, energia e amministrazione, il nuovo governo rischia di essere l’ennesimo ‘gabinetto di gestione’ della rendita, più che un esecutivo di riforma», insiste Giuseppe Gagliano.
L’11 novembre dirà chi siede dove. A decidere la traiettoria saranno tre cantieri: integrazione delle milizie nello Stato, disciplina della rendita petrolifera con un programma di investimenti misurabile, ricalibrazione dei rapporti con Washington e Teheran con margini di autonomia negoziata. «Se prevarrà la logica della conservazione, il sistema avrà vinto. Se emergerà anche solo un embrione di politica dei risultati – elettricità stabile, gare trasparenti, tempi certi per i cantieri – allora l’Iraq potrà finalmente parlare di stabilità, non solo di equilibrio».