Europa di fine ‘800 e l’allora alta diplomazia tedesca

Un po’ come Napoleone, Ottone di Bismarck divenne un mito quando era ancora vivo. Dotato di un pessimo carattere, autoritario e spesso irascibile, fu però un grande diplomatico dimostrando doti non comuni di pazienza e tenacia. Dopo l’unificazione della Germania, che fu definita una ‘tessitura’ come l’opera di Cavour in Italia, diede vita ad un modello di relazioni internazionali ricordato ancora oggi come il ‘sistema bismarckiano’, un equilibrio tra le potenze europee continentali – fatti sempre salvi però gli interessi tedeschi  – che andò in crisi alle soglie della Prima guerra mondiale. 

Kaiser Wilhelm II, the new ruler of Germany, and an aging Bismarck in 1888 –

Ottone di Bismarck non militarista

Contrariamente a quanto si ritiene Ottone di Bismarck fu assai meno militarista di quanto ci appare oggi guardando i numerosi ritratti in uniforme, anche se di fatto scatenò i due maggiori conflitti europei del XIX secolo. Anzi ebbe frequenti scontri con il potere militare che seguiva una propria logica diversa dalla sua politica, se non talvolta in aperto contrasto.
Nella guerra del 1866, che ridimensionò drasticamente l’impero d’Austria – anacronisticamente convinto di essere ancora il Sacro Romano Impero –, si manifestarono alcuni dissapori tra il cancelliere e il capo di stato maggiore, che però divennero un chiaro conflitto nella fase finale della guerra franco-prussiana del 1870.
Secondo Bismarck il potere militare doveva essere subordinato al potere politico e la decisione ultima spettava al secondo. Un esempio, che potrebbe sembrare paradossale, fu la sua decisione di bombardare Parigi già assediata dalle armate germaniche: Moltke, capo di stato maggiore, riteneva inutile bombardare la città e ne attendeva la caduta ‘per fame’, ma Bismarck – che pensava già ad un trattato di pace con la Francia sconfitta e al nuovo assetto internazionale – voleva invece accelerare i tempi e concludere la guerra rapidamente.
La logica militare infatti aveva già raggiunto l’obiettivo della conquista della capitale, ma non teneva conto del fatto che il resto della Francia non occupata dai Prussiani si stava riorganizzando per continuare la guerra e in questo caso la politica avrebbe dovuto attendere.

Nonostante dunque l’immagine del Cancelliere di ferro, che dava ordini perentori al suo esercito quasi scavalcando i generali, negli anni dell’apogeo divenne però celebre una sua frase di senso opposto: «Ogni guerra, anche vittoriosa, è sempre una grande disgrazia per il paese che la conduce».

La diplomazia

Negli anni successivi al 1848, Bismarck rappresentò la Prussia nel consesso degli stati tedeschi che era dominato dall’Austria non solo politicamente. L’unico diplomatico che durante le riunioni si concedeva di fumare il sigaro era infatti il rappresentante austriaco, fino a che un giorno Bismarck non estrasse il suo dalla custodia e chiese cortesemente all’austriaco del fuoco. Fu un terremoto, perché dopo l’episodio perfino il rappresentante del più piccolo ducato tedesco cominciò a fumare.
La conseguenza principale della sconfitta francese nel 1870 fu la definitiva riunificazione tedesca che comprese anche gli stati del sud della Germania ¬ – prima gravitanti nell’orbita austriaca – e la proclamazione dell’impero a Versailles. Il primo problema fu mantenere la Francia isolata in maniera tale che non avrebbe più tentato una guerra per riprendersi l’Alsazia e la Lorena. L’altro grande problema era ad est l’impero zarista, giudicato un colosso dai piedi di argilla, ma sempre pericoloso per la sicurezza tedesca, mentre l’impero l’austriaco non rappresentava più un pericolo: il primo passo fu così un accordo diplomatico, passato alla storia come ‘l’alleanza dei tre imperatori’(1873).
Poichè in Europa orientale e nei Balcani, nelle aree ancora soggette all’impero ottomano, si andavano manifestando movimenti nazionali che avrebbero comunque in qualche modo alterato l’equilibrio, un altro successo diplomatico di Bismarck fu il trattato di Santo Stefano (1878) che, pur riconoscendo nuove acquisizioni territoriali, non alterava gli equilibri generali, perché Bismarck temeva uno scontro austro-russo nei Balcani che espresse in un’altra celebre frase: «Per qualche maleddetta sciocchezza nei Balcani, potrebbe scoppiare una guerra tremenda». Nel 1882 fu siglata infine la Triplice alleanza: Un patto difensivo tra Austria, Germania e Italia che permetteva comunque un contatto con l’Inghilterra approfittando dei suoi buoni rapporti con l’Italia.

Difficile rapporto col nuovo imperatore

Guglielmo II salì al trono nel 1888 dopo solo tre mesi di regno del padre Federico Guglielmo IV: nato nel 1859, il nuovo imperatore aveva poco meno di trent’anni. Educato nel culto della Prussia, ammiratore del cancelliere e di quanto aveva realizzato per la Germania, era tuttavia animato da una grande ambizione, o meglio dalla volontà di fare ancora di più di quanto avessero fatto il nonno e il padre sfiorando a volte la megalomania.
L’anno seguente si verificò un vasto sciopero di minatori di fronte al quale le reazioni del cancelliere e del sovrano furono divergenti. Nel 1889 – anno nel quale i socialdemocratici ebbero una forte affermazione elettorale – Bismarck ripescò un antico decreto in base al quale i ministri, prima di rivolgersi all’imperatore, avrebbero dovuto consultarsi con il cancelliere. Poichè in tal modo si sarebbero interrotti i rapporti diretti tra il sovrano e i ministri, Guglielmo impose un decreto di revoca del decreto precedente al quale il cancelliere si oppose con fermezza: il 18 marzo 1890, dopo avere esercitato il ruolo di capo del governo prussiano e tedesco praticamente dal 1862, Bismarck si dimise.
Cominciò così l’era guglielmina che si sarebbe conclusa ventotto anni dopo con la catastrofica sconfitta della Germania nella Grande guerra e la caduta della monarchia. I cancellieri che si susseguirono non si rivelarono all’altezza, ma soprattutto fallirono nell’impresa di conservare amici e alleati stabili della Germania.

«Ho sempre trovato la parola ‘Europa’ nella bocca di quei politici che chiedevano ad altri ciò che non osavano pretendere a proprio nome».

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