Ulteriore prova di una cronica instabilità politica, quasi di marca sudamericana, l’ostinazione dell’Eliseo di ignorare i chiari segnali provenienti dall’elettorato. A complicare il quadro, ieri sera la notizia che Macron ha chiesto a Lecornu di elaborare entro mercoledì sera una piattaforma di azione e stabilità. Lecornu, comunque, ha ribadito che le sue dimissioni sono irrevocabili.

Il governo Lecornu ha battuto tutti i record, essendo durato nei fatti,12 ore, Tanto è passato, infatti, dalla presentazione della prima lista dei ministri, fino alla lettera di dimissioni consegnata all’Eliseo. Diciamo che, secondo ciò che ha detto il Premier incaricato, uno dei partiti che avrebbe dovuto sostenere la coalizione (Les Republicains) di Bruno Retailleau si è improvvisamente sfilato. Alla base c’è, prima di tutto, un malessere ormai cronico del sistema francese. Se non ci sono i numeri e si vuole lo stesso restare aggrappati al potere, allora i voti bisogna procurarseli in Aula, offrendo di tutto e di più. È chiaro che, messa così, chi deve dare il suo appoggio a un governo di minoranza alza progressivamente il prezzo. E si impunta su qualsiasi cosa, minacciando costantemente la crisi politica. È quello che succede in Francia già da diversi anni, sotto la Presidenza Macron, e che è successo pure ieri. In sostanza, Lecornu ha fatto acrobazie di tutti i tipi, negli ultimi 20 giorni, per cercare di far quadrare il cerchio. Cioè, per accontentare tutti coloro (e sono assai) che avrebbero dovuto sostenere il suo governo, nato a handicap. Perché le ultime elezioni (basta guardare i numeri) le hanno vinte l’estrema destra del Rassemblement National (della Le Pen) e l’estrema sinistra di France Insoumise (di Luc Mèlanchon). Tutto il resto le ha sostanzialmente perse. Ma un blocco ampio di centro-destra, col sostegno occasionale delle altre formazioni, è stato tenuto assieme con lo scotch per assemblare dei governi abbastanza fragili. Perché? Beh, a sentire i maligni, perché il vento era girato furiosamente e la maggior parte dei consensi si era spostata (e si sta ancora spostando) verso le estreme. Destra e sinistra (quelle ‘vere’). Quindi, non ‘conveniva’ votare. Una situazione che tutti percepivano. Tutti meno Macron, che è voluto andare lo stesso a elezioni anticipate. Prendendo una batosta e facendo precipitare il Paese ancora di più nel caos politico. Ma lui non si è dimesso (almeno fino a oggi), dato che punta dritto come un missile ipersonico sulle Presidenziali del 2027.
Il Premier incaricato (definito da molti commentatori ’l’ultimo dei gollisti’) domenica sera ha presentato a Macron una prima lista di 18 ministri. Faticosamente stilata, dopo giorni di trattative con ‘alleati’ letteralmente avidi di ogni genere di posto, posizione, poltrona o strapuntino. Per quello che si è potuto sapere, non appena hanno cominciato a circolare i nomi, è partito subito il fuoco di sbarramento degli scontenti. In particolare, nel polverone della critica sono finiti due futuri ministri: quello della Difesa (Bruno Le Maire) e quello dell’Economia (Roland Lescure). Si tratta di personaggi appartenenti a Renaissance, il partito (guarda caso) del Presidente Macron. Al quale, tra le altre cose, si dice che i due esponenti politici siano strettamente legati. Insomma, per molti ipotetici colleghi di coalizione, queste nomine puzzavano troppo di sudditanza psicologica nei confronti dell’Eliseo. Il richiamo alle pesanti critiche sulla composizione del governo è stato uno degli argomenti citati da Lecornu per giustificare le sue dimissioni. Ma gratta gratta, sotto la vernice dell’onore politico offeso, spunta un’altra realtà molto più cruda. Il vero problema della Francia contemporanea è il bilancio dello Stato. I conti stanno andando velocemente a ramengo e bisognerebbe intervenire con metodi spicci. Che non piacciono a nessuno, perché sono politicamente impopolari e socialmente ingiusti. Specie quando si vanno a toccare pensioni e sanità in un’epoca nella quale si proclama, con enfasi, tutti i giorni, la sacralità del riarmo. Che costa un botto di soldi. Quindi: chi preparerà una legge di bilancio appena appena accettabile, per non farsi degradare ulteriormente (dopo Fitch) dalle società di rating?
La spaccatura nel panorama politico, che citavamo sopra, si ripropone amplificata nelle posizioni suggerite per la soluzione della crisi. C’è chi riafferma l’esigenza primaria di garantire la governabilità per non fare precipitare il Paese nel caos, e c’è invece chi punta dritto a nuove elezioni anticipate e, addirittura, chiede anche le dimissioni di Macron. “Le dimissioni – dice Marine Le Pen – sono una questione di coscienza e di senso dello Stato (…) Legati alla Repubblica, saremo quindi lieti di invitare la persona interessata a un’introspezione e a una salutare presa di coscienza per la Francia. La seconda opzione è lo scioglimento. A nostro avviso, è irrimediabile. Il RN non indirà elezioni per sé stesso, ma per un unico scopo: difendere gli interessi della Francia e del popolo francese”. “Chiediamo la nomina di un Primo ministro di sinistra, ecologista e aperto al compromesso”, ha dichiarato il segretario generale del Partito socialista, Pierre Jouvet, al termine di un incontro con i dirigenti socialisti, come riporta Le Figaro. “Non chiediamo lo scioglimento o le dimissioni del capo dello Stato – ha continuato Jouvet – annunciando che il suo partito incontrerà “partner politici di sinistra ed ecologisti”, tra cui Place Publique e il Partito comunista francese, escludendo quindi La France Insoumise.
Francia in ginocchio: cade anche il governo Bayrou e rischia Macron