Trump, Netanyahu, Simotich e Ben Gvir garanti di pace?

Ripresa dei negoziati in Egitto per la liberazione degli ostaggi israeliani nel giro di qualche giorno. Hamas approva di discutere il piano di Trump, ma non disarma con l’esercito israeliano schiarato in quello che resta di Gaza. Netanyahu di sempre: ‘Gaza sarà disarmata in un modo o in un altro’. La bocciatura dei giuristi internazionali alla proposta.

Pochi giorni per capire

Hamas sta presentando una serie di richieste in vista dei colloqui  in Egitto. Tra queste, un cessate il fuoco completo, il ritiro dell’Idf alle posizioni che occupavano durante l’attuazione del precedente accordo di gennaio – ovvero al di fuori delle aree popolate della Striscia – sospensione delle attività di caccia e droni per 10 ore al giorno e per 12 ore nei giorni in cui vengono rilasciati gli ostaggi. A riferirlo è il canale saudita Asharq che cita fonti dei miliziani palestinesi. Hamas chiede che queste misure vengano applicate per tutta la durata dei negoziati, che potrebbero durare una settimana o più. I funzionari di Hamas hanno dichiarato che i negoziati riguarderanno anche i criteri per il rilascio dei prigionieri palestinesi, aderendo al principio di anzianità, con l’elenco dei prigionieri da rilasciare basato sulla data del loro arresto e sulla loro età. Nell’accordo precedente, Israele si era opposto al rilascio di 50 prigionieri palestinesi, tra cui alti esponenti di Fatah, Hamas e altri gruppi, come Marwan Barghouti, Ahmad Sa’adat, Ibrahim Hamed, Hassan Salameh e Abbas Sayyed. Ora Hamas chiede a Israele di ritirare le sue obiezioni sulla lista e di rilasciarli, sottolineando che questa è ‘l’unica opportunità rimasta per la loro libertà’.

Barghouti antico leader

Secondo il criterio di anzianità, Marwan Barghouti è il numero 60 nella lista dei prigionieri condannati all’ergastolo, il che gli darebbe diritto alla scarcerazione. Le fonti hanno affermato che i negoziati sfocerebbero in una grave crisi se Israele insistesse a trattenere qualcuno dei prigionieri palestinesi. Si prevede che Hamas chiederà che la prima fase dell’accordo sia collegata alle fasi successive che riguardano governance, sicurezza, armi, valichi, ricostruzione e altre questioni, garantendo la continuazione del cessate il fuoco durante questi negoziati, che potrebbero richiedere molto tempo. Ma secondo Asharq, si prevede che Israele rifiuterà questo collegamento. Infine, Hamas chiede che l’Autorità Nazionale Palestinese sia coinvolta nei negoziati sul destino della Striscia di Gaza, in particolare sulla sua governance. Alcune fonti citate da Asharq affermano che l’Egitto chiederà un dialogo nazionale palestinese per raggiungere un’intesa su governance, sicurezza, armi e valichi.

Ma Trump, Netanyahu e l’anima nera del suo governo?

Per Netanyahu il ruolo è obbligato: concedere il minimo col maggior danno altrui. Ed ecco che Trump è costretto a sorprendere. Commento a voci diffuse dalla Striscia: «Hamas come ci aspettavamo, ha accettato di rilasciare gli israeliani suoi prigionieri, ma non di disarmare la resistenza palestinese come pretende Israele e prevede il piano Usa. Perciò eravamo sicuri di una replica dura di Trump; invece, è andata in un altro modo». Il piano prevede, anzi intima, il rilascio entro 72 ore, dei 48 israeliani nelle mani di Hamas, mentre Israele presenterà ai mediatori le mappe del ritiro dei propri militari corrispondenti al primo stadio. Come e quando però lo decideranno loro, e qui casca l’asino. Qualcuno al mondo si azzarda a credere a Netanyau e ai suoi ministri ‘campione’, Simotich e Ben Gvir? Intanto, mentre il mondo discute e probabilmente si illude, le notizie da Michele Giorgio su un raid aereo israeliano che ha ucciso decine di persone, tra cui bambini, nel quartiere di Tuffah, a Gaza City anche se Trump ringrazia per ‘aver ridotto i bombardamenti’. Figuriamoci se non erano ‘ridotti’.

Subito alla prova dei fatti

Chi tratta tra le parti. Delegati di Hamas: forse alla testa della delegazione ci sarà Khalil al-Hayya, che Israele il mese scorso ha cercato di assassinare a Doha assieme ad altri leader del movimento. Certo al Cairo l’inviato Usa Steve Witkoff e l’ex consigliere presidenziale Jared Kushner, il genero del presidente. La delegazione israeliana sarà guidata dal ministro per gli Affari strategici Ron Dermer. Negoziati veloci perché Trump vuole il rilascio immediato degli ostaggi. Dopo la patacca della sua pace ucraina, col medio oriente di gioca le elezioni di medio termine pericolosamente vicine. E anche Netanyahu deve stare attento. In casa e sul sostegno politico-militare statunitense, ora pericolosamente divergenti. Mentre l’ultra destra che ancora lo tiene a galla, frena e pone condizioni. «L’esercito manterrà la propria presenza all’interno della Striscia, con ritiri limitati lungo la cosiddetta ‘linea gialla’. Il ritiro vero e proprio, aggiungono, inizierà soltanto dopo il completamento del processo di consegna dei prigionieri; le fasi successive saranno oggetto di ulteriori discussioni». «E nessun cessate il fuoco»

Israele da subito frena nei fatti

Netanyahu ha dichiarato di sperare di poter annunciare il ritorno in Israele di tutti gli ostaggi, ma «l’esercito israeliano resterà all’interno della Striscia». «Nella seconda fase Hamas sarà disarmata e Gaza sarà smilitarizzata: nel modo più facile o nel modo più difficile, ma ci riusciremo», la minaccia di sempre. Contemporaneamente, va sottolineato, migliaia di israeliani manifestavano nelle strade issando striscioni con la scritta «Ora o mai più». Mentre il primo ministro incontrava i ministri dell’ultradestra Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, schierati contro il piano Trump. Dubbi anche in casa palestinese, con qualche buona ragione in più. In Cisgiordania e nella diaspora palestinese si discute delle prossime mosse di Hamas. Non c’è dubbio che sul movimento islamico abbiano pesato anche la condizione catastrofica della popolazione e le enormi pressioni, anche da parte di paesi alleati come Turchia e Qatar, affinché accettasse il piano Trump, malgrado sia ampiamente sbilanciato a favore di Israele e offra, ma solo in futuro, ai palestinesi soluzioni molto vaghe.

Restano la perplessità condivise da molti nel mondo (Usa compresi), intorno alle intenzioni di Netanyahu che, dopo aver ottenuto il rilascio dei prigionieri israeliani da parte di Hamas, in una seconda fase potrebbe non solo rioccupare e bombardare Gaza, ma anche allargare l’offensiva a livello regionale per chiudere la partita con l’Iran e il Libano.

Valutazioni diplomatiche terze

Esperti Onu: almeno 15 dei 20 punti violano la legge internazionale. Sì a cessate il fuoco e ingresso degli aiuti; no all’imposizione di pratiche coloniali. Hamas e si è detta disposta a liberare tutti gli ostaggi israeliani. Non una accettazione completa ma la disponibilità ad aderire ai principi definiti dal progetto sullo scambio prigionieri, sull’ingresso degli aiuti umanitari e sul trasferimento di poteri a un’amministrazione ‘tecnocratica indipendente’. Magari senza lo screditato Tony Blair. Tutto il resto, o quasi, dovrà essere discusso. Così, almeno, vorrebbe Hamas, che non fa riferimento all’obbligo di disarmo né all’esilio ma chiede il completo ritiro israeliano e il rispetto del diritto internazionale: «Per quanto riguarda le altre questioni contenute nella proposta di Trump, relative al futuro di Gaza e ai diritti del popolo palestinese, queste sono legate a una posizione nazionale collettiva e alle pertinenti leggi e risoluzioni internazionali».

Diritto internazionale?

Le ‘criticità’ rilevate dagli esperti della Nazioni unite raccontate da Eliana Riva. Premessa ovvia: «Imporre una pace immediata a qualsiasi costo, indipendentemente o sfacciatamente contro la legge e la giustizia, è una ricetta per ulteriori ingiustizie, future violenze e instabilità».  Primo, «l’occupazione israeliana deve finire immediatamente, totalmente e incondizionatamente, con la dovuta riparazione ai palestinesi». Tra le principali preoccupazioni, «le inesistenti o fumose garanzie sul diritto palestinese all’autodeterminazione, soggetto a precondizioni che non dipendono dai palestinesi stessi». Il «’governo di transizione temporanea’ è bollato come illegittimo. Il ‘Consiglio di pace’ presieduto dal presidente degli Stati uniti, governo amico e alleato fidato di Israele, riproduce una pratica coloniale improponibile. La «Forza internazionale di stabilizzazione», un’occupazione guidata dagli Usa, è stata definita «totalmente inaccettabile» dagli esperti, così come la presenza a tempo indeterminato di Tel Aviv nei confini di Gaza.

Il poco di credibile

Trump parla della smilitarizzazione di Hamas ma non di quella di Israele. Il «piano di sviluppo economico» prefigura uno sfruttamento delle risorse di Gaza. La stessa l’amnistia totale ai membri di Hamas è criticata dal team di esperti, così come il rilascio limitato dei prigionieri palestinesi detenuti illegalmente. Non è neanche garantito l’accesso ai giornalisti internazionali e il coinvolgimento dell’Onu: «Le Nazioni Unite – non Israele o il suo più stretto alleato – sono state identificate come l’autorità legittima per supervisionare la fine dell’occupazione e la transizione verso una soluzione politica in cui il diritto all’autodeterminazione sia pienamente realizzato».

Paesi arabi ‘garanti’?

E subito la scoperta degli inganni. Il ministro degli Affari esteri del Pakistan ha dichiarato che i 20 punti del presidente Usa non sono quelli concordati con i Paesi arabi e islamici, ma sono stati cambiati a insaputa del gruppo. Qatar ed Egitto hanno affermato che sono necessari ulteriori colloqui per definire aspetti fondamentali, soprattutto riguardo la governance e gli accordi di sicurezza. Insomma, speriamo in una quasi pace, ma con intelligente prudenza. Il dubbio resta una virtù, l’illusione perte di un inganno.

 

 

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