
Naval Air Station Sigonella,– Sicily’s volcano, Mt. Etna, is the backdrop for the air terminal of Naval Air Station (NAS) Sigonella.
Sull’aereo egiziano si trovavano i quattro dirottatori della nave da crociera italiana «Achille Lauro» accompagnati da due mediatori. L’aereo era seguito da quattro caccia F 14 e due aerei C 141 statunitensi: questi ultimi due atterrarono poi senza preavviso né segnali radio con a bordo uomini della Delta Force. Nel seguito, un No italiano inatteso e per certi aspetti inimmaginabile.
Il 7 ottobre 1985, nel corso di una crociera in Mediterraneo, quattro militanti del Fronte per la Liberazione della Palestina si impossessarono della nave «Achille Lauro» che trasportava duecento passeggeri e più di trecento uomini di equipaggio. Il Fronte, sorto nel 1961 e a capo del quale si trovava in quel momento Abu Abbas, contendeva all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, guidata da Yasser Arfat, l’egemonia su tutto il movimento ed era appoggiato dalla Siria.
L’iniziativa diplomatica italiana ottenne subito dalla Siria che la nave non facesse rotta su Tartus e tornasse in acque egiziane al largo di Port Said. Nel frattempo però il commando aveva ucciso spietatamente un passeggero americano, sebbene la notizia fosse conosciuta da pochi all’esterno della nave. In Egitto si svolse quindi un altro complesso e delicato negoziato tra l’Italia, l’Egitto, l’OLP e i due mediatori del Fronte (tra i quali lo stesso Abu Abbas) che ottenne la liberazione della nave.
I dirottatori si consegnarono pertanto agli egiziani per essere trasportati da un volo in un altro paese ospitante, ma a questo punto, resa nota la morte del passeggero americano, intervennero gli Stati Uniti che reclamarono la consegna di tutti gli implicati, compresi i mediatori, e affiancarono in volo l’aereo egiziano con quattro caccia per farlo atterrare in una base sicura.
L’aereo, falliti i tentativi di fare rotta su Tunisi per l’intervento americano e di atterrare ad Atene per il rifiuto delle autorità greche, nonché per la scarsità di carburante, fu costretto quindi ad atterrare in Sicilia, nella base militare di Sigonella che divenne lo scenario di una vicenda della quale si discute ancora.
Dopo l’atterraggio intervennero i servizi di sicurezza dell’aeroporto: il velivolo fu bloccato parcheggiando davanti un pesante automezzo e circondato da un primo cordone di avieri della base e carabinieri. Pochi minuti dopo atterrarono i due aerei da trasporto americani e gli uomini della Delta Force che circondarono a loro volta l’aereo egiziano e il primo cordone di militari italiani a protezione dello stesso.
Infatti, nonostante fosse stato annunciato direttamente dalla formazione americana in volo al controllo della base l’atterraggio del velivolo di linea, altrettanto non avvenne nei confronti delle autorità politiche italiane che vennero a conoscenza del progetto americano di catturare i dirottatori solo ad operazione cominciata e quindi già durante l’avvicinamento a Sigonella.
Superata l’iniziale ritrosia di Craxi nei confronti del primo interlocutore americano che non rivestiva alcun incarico diplomatico ufficiale, il presidente italiano non apprezzò affatto che nella giustificazione si facesse riferimento «al clima mite, alla buona cucina e all’antica cultura della Sicilia» e diede disposizioni affinchè la condotta dell’operazione fosse regolata dalle autorità italiane, come in effetti avvenne.
Nel frattempo, alla già complessa situazione a terra, si aggiunse un altro elemento: fu steso un terzo cordone di carabinieri che circondava gli americani che circondavano le forze italiane intorno all’aereo. Alle 03.00 si svolse un colloquio telefonico diretto tra il presidente del consiglio italiano Craxi e il presidente degli Stati Uniti Ronald Regan: come precisò in seguito Craxi non volarono parole grosse, ma solo molto «ferme». Le autorità italiane non avrebbero comunque consegnato in nessun caso agli americani i dirottatori, né i due mediatori: una volta consegnati alla giustizia italiana i responsabili diretti, i mediatori sarebbero stati interrogati, ma al momento non esisteva un motivo per effettuarne l’arresto. Forse per la prima volta dal 1945 da parte italiana fu opposto un netto rifiuto a una richiesta americana.
Ci si chiede ancora oggi se la vicenda di Sigonella sia stato un caso isolato, ma in realtà la politica estera italiana aveva già dato dei segnali di scelte autonome in diverse questioni internazionali, sia pure non in maniera eclatante e senza rotture di equilibri. Agli inizi degli anni Ottanta c’era stata la partecipazione alla missione Onu in Libano, molto significativa perché l’Italia perché dal 1960, a seguito cioè dell’eccidio di Kindu in Congo, non aveva più preso parte a missioni internazionali.
Il Mediterraneo e il Medio Oriente in particolare cominciarono ad essere oggetto di un rinnovato interesse italiano: fu espressa ad esempio una condanna per il bombardamento israeliano della sede dell’OLP a Tunisi che aveva violato un paese neutrale, anche se questo atteggiamento creò tuttavia una certa tensione personale tra Craxi e Simon Peres, primo ministro israeliano, aderente come Craxi all’Internazionale socialista.
Successivamente anche il giudizio italiano sulla politica americana in America Latina fu relativamente critico in quanto pesava ancora la memoria del sanguinoso golpe in Cile, mentre in Libia – nonostante Gheddafi – si preferì sempre la via delle trattative a quella delle bombe.
Certo non mancarono contraddizioni: si aderì ad esempio all’installazione degli euromissili anche in Italia e soprattutto nel progetto SDI (Strategic Defense Iniziative), meglio conosciuto come «guerre stellari», l’Italia fu molto più vicina agli Stati Uniti che non ai paesi europei che stavano sviluppando invece un proprio progetto nell’influenza dell’asse franco-tedesco.