
«Sul tramonto dell’Occidente ci si angustia e si dibatte da più di un secolo, ciononostante l’Europa si presenta del tutto impreparata di fronte alle circostanze del suo prosaico accadere. La frattura tra le due sponde dell’Atlantico è approfondita e incrudelita da Trump, ma è ben radicata nei fattori di crisi che hanno logorato la potenza americana». La premessa di Marco Bascetta.
«Dopo il 1945 l’Europa non è riuscita neanche lontanamente a immaginarsi se non all’interno di un Occidente a guida statunitense nell’ambito del quale poter articolare, ma con prudenza, le proprie specificità e vantare le proprie virtù […], l’Unione europea e i suoi membri oscillano tra sottomissione e progetti di autonomia destinati a cozzare contro crescenti egoismi e priorità nazionali». Quindi?
«L’alleanza con l’America costa cara, garantisce sempre di meno ma impedisce di attraversare in piena libertà i rapporti globali, di guardarsi intorno alla ricerca di nuove opportunità».
«La chiusura di ogni possibile interlocuzione con la Russia, il grande vicino dell’Est vieta all’Unione europea di conseguire un peso rilevante su uno scacchiere globale in rapido movimento. Mentre l’ideologia Maga e il suo condottiero sospingono gli Stati uniti verso assetti sempre più autoritari e il poderoso polo guidato da Cina, India e Russia è già ampiamente svincolato da obblighi democratici, l’Europa si atteggia a ultimo solitario bastione della democrazia, pur guardandosi dall’offendere Trump, chiamandolo per quello che effettivamente è».
«Ma la patente democratica non garantisce alcuna forma di potenza commerciale, finanziaria o militare, né attrattiva politica […] visto il dilagare di forze reazionarie e nazionaliste in quasi tutto il continente […] E alla quale è assai pericoloso, ma anche inefficace, voler supplire con mastodontici programmi di riarmo, peraltro perseguiti su base nazionale».
È ben vero che il cosiddetto Sud globale è ancor meno omogeneo dell’Europa […] ma è anche vero che i conti da saldare con l’egemonia occidentale del dopoguerra, per non parlare di quelli che risalgono alla storia coloniale, sono per molti aspetti comuni, i risentimenti condivisi e i progetti di sviluppo futuri integrabili, un legame consistente non privo di risvolti politici».
«Al centro di questo polo in costruzione vi è quella che è già a tutti gli effetti una superpotenza economica e militare, la Cina di Xi, nonché la seconda potenza nucleare del mondo rappresentata dalla Russia di Putin e paesi del peso dell’India o del Brasile. Tutte realtà politiche piuttosto solide che dispongono di una grande forza contrattuale».
Intanto a Bruxelles la maggioranza di centrosinistra che ha eletto e tiene in piedi la presidente della Commissione Ursula von der Leyen mostra una crescente insofferenza per il suo protagonismo tutto sbilanciato a destra e poco sensibile alle problematiche sociali. «Nonostante la retorica militarista, con le sue promesse di rilancio economico e di riscossa geopolitica, l’Europa sta vivendo un suo proprio tramonto dell’Occidente, dei diritti acquisiti e delle garanzie democratiche. E finirà così col rimanere comunque subalterna e impastoiata nel campo imprevedibile, e con buona probabilità perdente, di Donald Trump», il requiem di Andrea Valdambrini. Amen.
Ora in campo l’Eurocamera che può cambiare la proposta della Commissione. La possibile-probabile bocciatura dell’accordo sui dazi segue una lunghissima fase di malessere dei socialisti europei nei confronti della presidente della Commissione. Pesa la maggioranza alternativa con le destre con cui il Ppe vota sui temi valoriali e smonta il Green deal. Pesa la procedura d’urgenza per approvare il piano di riarmo, contro cui l’Eurocamera fa ricorso alla Corte di Giustizia. Pesano infine i piani di bilancio pluriennale presentati da Von der Leyen, che aumentano il budget per la difesa a svantaggio delle politiche sociali.
Ma le critiche all’accordo sui dazi non fanno da detonatore solo al malcontento dei socialisti. Dubbi anche dalla componente liberale di Renew, che parla apertamente di «posizione a rischio per la presidente della Commissione, la fiducia verso la quale è venuta meno dopo molte delusioni». Si mobilita poi la Sinistra europea (Left), annunciando una mozione di sfiducia che, se raggiunge le firme necessarie tra gli eurodeputati, dovrebbe arrivare in Aula entro fine ottobre.
Tante le ragioni per la sfiducia, da sinistra: non solo dazi e Green deal, ma anche l’inerzia europea rispetto al massacro israeliano nella Striscia.