
Nel 2024, il commercio tra la Cina e gli Stati Sco, ha raggiunto il livello più alto, pari a circa 890 miliardi di dollari. Da quando è stata fondata nel 2001 la Sco ha quasi raddoppiato i suoi membri da Cina, Russia, Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan. In un secondo momento si sono aggiunti India, Pakistan e Iran. Includendo gli osservatori e i partner, il numero dei Paesi coinvolti a vario titolo arriva a 26, con alcuni – tra cui Myanmar e Turchia – che aspirano a ottenere la piena adesione.
Il summit di Tanjiin è un’occasione per Pechino di aprire il portafoglio. Quest’anno la Cina investirà 2 miliardi di yuan (275 milioni di dollari) in sovvenzioni agli Stati membri della Sco e concederà altri 10 miliardi di yuan (1 miliardo e 375 milioni di dollari) in prestiti a un consorzio interbancario nei prossimi tre anni. «Dobbiamo rendere la torta della cooperazione più grande e sfruttare appieno i punti di forza di ogni Paese, in modo da poter adempiere alla nostra responsabilità per la pace, la stabilità, lo sviluppo e la prosperità della regione», ha spiegato Xi ai leader raccolti a Tianjin.
Gli investimenti confluiranno lungo tre assi strategiche:
Logistica. Reuters segnala che il traffico ferroviario merci tra Cina ed Europa, attraversando Paesi Sco, è aumentato di circa il 10,7 % nel 2024 raggiungendo circa 19.000 treni.
Sistemi di pagamento. L’obbiettivo è fin troppo chiaro e condiviso a livello mondiale e si chiama dedollarizzazione. La ‘Sco Development Bank’, ispirata alla Nuova Banca di Sviluppo dei BRICS, ha l’obiettivo di sostenere il commercio in valute nazionali. È in stato avanzato il progetto di creazione di un yuan digitale.
Innovazione tecnologica. Reuters lascia trapelare che l’agenda del “Tianjin Declaration” dovrebbe includere iniziative nei settori di energia rinnovabile, tecnologie digitali, intelligenza artificiale, infrastrutture di connettività regionali. Il leader del tech cinese Alibaba sta sviluppando un nuovo chip di intelligenza artificiale, ha riferito la CNBC, per cui è prevedibile l’espansione di siti produttivi e partnership tecnologiche con i Paesi Sco
«La sveglia è suonata. E l’Occidente fa finta di non sentirla» afferma il prof. Giuliano Noci, del Politecnico di Milano. Siamo davanti a una dislocazione epocale del potere. Il baricentro globale si sta spostando altrove, in direzioni che per decenni abbiamo guardato dall’alto in basso: Sud globale, Cina, Asia Centrale, Africa. Non siamo più nella gara per il dominio globale, siamo nella lotta per la rilevanza. Questo slittamento non è graduale. È il frutto di una convergenza storica di forzanti simultanee mai viste prima: sommovimento demografico, disordine geopolitico, nazionalismi economici, fratture tecnologiche. E in tanti, anche nel cortile di casa nostra, iniziano a preferire un pragmatismo autoritario all’ipocrisia democratica in salsa occidentale, conclude l’economista.
Rincara la dose il prof. Carlo Favero, un altro studioso di dinamiche economiche e in particolare di quelle europee in rapporto all’avanzare di nuovi attori mondiali. «La demografia renderà i debiti pubblici sempre più insostenibili, il costo del debito sarà superiore alla crescita del Pil e questo rischia di schiacciare le economie occidentali». Sull’Europa incombe un nuovo mostro a due teste: ritardo nel progresso tecnologico e invecchiamento della popolazione.
E’ un vero e proprio suicidio europeo, quello per cui è mancata qualsiasi volontà di affrancarsi realmente dal dominio degli Stati Uniti che, a loro volta, stanno perdendo di credibilità per la propria stessa debolezza. Una crisi che è ben chiara ai big della finanza, solerti a sostituire i dollari con le criptovalute e pronti a dare l’assalto al risparmio privato in ogni parte del pianeta. Uno scenario che pare non avere ombre per i nuovi attori dell’economia mondiale riuniti in Cina, dove stanno tracciando le proprie nuove mappe di potere.