
“Era un conversatore amabile e signorile. Dai tratti quasi regali. Ma era stato, soprattutto, il Presidente della Repubblica francese, prima di diventare l’architetto della nuova Costituzione europea” scriveva più di venti anni fa Piero Orteca, in un articolo che, salvo molti dei protagonisti di allora scomparsi, potrebbe far parte della pagina politica di oggi.
Valery Giscard d’Estaing era davanti a me in quel lontano 2003, seduto a tavola, in campagna, all’aperto, nella tenuta agricola del barone Scammacca del Murgo, sull’Etna. Era venuto a ritirare il Premio internazionale Bonino-Pulejo a Messina, e io avevo avuto il privilegio di poterlo accompagnare. Forse gli ero simpatico, perché gli avevo raccontato che il mio povero francese non era frutto di studi. L’avevo imparato massacrandomi la schiena nelle vigne della Borgogna. E lui, che amava il vino, apprezzava. Era un esteta di questa cultura. Avrebbe parlato ore intere sulla differenza non tra un vino e l’altro, ma tra una bottiglia “renana” e una “bordolese”. Insomma, con in mano un calice di sublimi uvaggi di nerelli (mascalese e cappuccio) il Presidente della Convenzione si sciolse, come il più affabile degli amiconi.
Lui era venuto a Messina perché questa città “ha un significato particolare per l’Europa”. Un’ammissione che mi riempì d’orgoglio, ma che mi fece anche diventare più ardito: come vedeva, Monsieur Le President il futuro di un’istituzione che ancora (persino a quell’epoca) non riusciva a darsi un assetto stabile e un insieme di regole certe? E qui, a oltre vent’anni di distanza, va osservato una sorta di “tradimento” dello Spirito di Messina, cioè un venir meno di quell’approccio “gradualista” che aveva consentito all’Unione di crescere, step-by-step, superando gli egoismi e le clausole condizionali poste dai singoli Stati.
Cosi, con singolare lungimiranza sostenuta dalla sua indiscutibile esperienza di statista, Giscard mi confessò tutte le sue perplessità sul processo di “allargamento” dell’Unione. Le economie “di scala” o i processi che aumentano la capacità contrattuale di una istituzione funzionano, sottolineò l’ex Presidente della Francia, se non introducono nuova instabilità nel sistema. Cosa che purtroppo si è verificata quando, all’inizio del nuovo millennio, il processo di allargamento è stato accelerato in maniera irrazionale.
Era stato il Ministro degli Esteri francese Robert Schumann, nel 1950, a tracciare la via, proponendo la formazione della Comunità economica del carbone e dell’acciaio. Fu quella l’origine di un progetto che aveva bisogno dei suoi tempi per maturare. E fu ciò che fece Messina: tracciare un modello gradualista, che portò, attraverso un proficuo confronto, ai Trattati di Roma del 1957. E poi alla Comunità economica europea, fino all’Unione nel 1992.
“Col Cancelliere tedesco Helmuth Schmidt avevamo le stesse idee sull’Europa – ha confessato Giscard in un’intervista concessa a L’Espresso – un’Europa a nove membri, i sei Paesi fondatori più la Gran Bretagna, la Danimarca e l’Irlanda. Adesso siamo 28: l’Europa non è più governabile e non è governata”. Nella stessa intervista l’ex Presidente spiega anche, con grande dovizia di particolari, quanto abbia pesato, a suo giudizio, l’allargamento “forzato” dell’UE verso est.
“Fino alla caduta dell’Unione Sovietica, l’Europa era abbastanza omogenea e poteva prendere decisioni comuni. Ma negli anni ‘90 si è divisa e da allora ci sono state due Europe. Giornalisti e opinione pubblica ancora oggi non riescono a distinguerle. I giornalisti chiamano Europa sia la zona Euro, ovvero l’Europa dei Paesi Fondatori che ha trovato la sua espressione nel Trattato di Maastricht del 1992, sia l’Europa a 28, ovvero l’Europa della Grande Espansione degli anni Duemila.
Questa ha interessato i Paesi che erano nella sfera comunista, e dunque i Paesi più poveri, con dei bisogni considerevoli. La negoziazione con loro non è stata portata avanti correttamente perché non è stato messo in evidenza che l’Europa è anche un progetto politico. Abbiamo permesso che si accontentassero solo di ricercare e ottenere vantaggi economici”. Non l’Europa dei popoli, dunque, ma solo quella dei “consumatori” e degli “assistiti”. Si, lo “Spirito di Messina” è stato tradito.