
Il trattato di Tilsit è costituito in realtà da due diversi trattati, uno con la Russia e uno con la Prussia. Fu posta fine alla guerra franco-russa che si era conclusa colla sanguinosa battaglia di Friedland (14 giugno 1807) e alla guerra con la Prussia che ne uscì umiliata. Napoleone fu molto abile nel concedere alla Russia il rango di alleata e non di nazione sconfitta, come pure l’impegno francese a sostenere la Russia in caso di conflitto con l’impero ottomano, perché in realtà le condizioni dell’impero al momento non erano tali da impensierire.
La Prussia subì invece perdite territoriali di una certa entità, soprattutto a favore del regno di Vestfalia sul cui trono sarebbe salito Girolamo Bonaparte, fratello minore dell’imperatore. La pace di Tilsit, sebbene in apparenza avesse suggellato l’ordine europeo voluto da Bonaparte, si rivelò piuttosto fragile.
Prussia e Russia con il passare del tempo apprezzarono sempre meno l’istituzione del ducato di Varsavia, ossia di una parvenza di indipendenza polacca, costituita con territori che prima erano contrallati dalle due potenze e che – nelle intenzioni di Napoleone – avrebbe dovuto fungere da stato-cuscinetto.
Ancora meno soddisfatti furono i polacchi che però, dopo essere stati prontamente rioccupati da russi e tedeschi alla fine del congresso di Vienna, probabilmente rimpiansero anche quel sottile guscio idi indipendenza. La Polonia scomparve così dalle carte geografiche per un secolo, cioè fino alla pace di Versailles.
Definire Lev Tostoi solo un ‘cronista’ minuzioso delle vicende storiche russe in «Guerra e pace» equivale un po’ a farlo rivoltare nella tomba, ma nel grande romanzo nemmeno l’episodio di Tilsit sfugge alla sua meticolosa ricostruzione degli aspetti psicologici dei protagonisti e soprattutto dell’incontro tra i due imperatori.
Lo zar appare indeciso, debole e in contrasto con il suo esercito rappresentato invece dal ‘buon’ generale Kutusov: non è omesso che dopo la pace gli stessi contadini russi, ai quali era stato raccontato l’anno prima che Bonaparte era ‘il diavolo’ sulla terra, rimasero disorientati.
Del resto lo zar aveva già cambiato tre alleanze: nel 1804 era stato alleato dell’Austria, della Svezia e dell’Inghilterra, ma aveva subito la sconfitta di Austerlitz l’anno successivo. Alleatosi nuovamente con l’Inghilterra, la Prussia e la Sassonia era stato nuovamente sconfitto dovendo accettare la pace di Tilsit con il terzo cambio di alleanza che lo vide schierarsi questa volta con i francesi. Una perenne indecisione che si rispecchiava anche sul piano interno: pur desiderando le riforme, ma senza assumersene la resposabilità, lasciava ad altri il potere per farlo.
Napoleone, promettendo neutralità nel conflitto tra Russia e Svezia per il controllo sull’attuale Finlandia, aveva avuto facile gioco. E come racconta ancora Tolstoi, Napoleone – al contrario del generale russo Kutuzof – passava lungo i campi di battaglia senza scomporsi eccessivamente delle migliaia di morti.
Quasi all’opposto della rappresentazione di Tolstoi, attento ai nobili sentimenti dell’uomo, sono alcuni commenti di Talleyrand, ministro degli esteri di Napoleone. Il ministro è stato in un certo senso esautorato dalle trattative che si svolgono direttamente tra i due sovrani, ma descrive con sarcasmo in una lettera il galoppo sfrenato al quale si lanciano Napoleone e Alessandro lasciando invece indietro il re di Prussia, una scena che sembra anticipare l’esito dell’incontro.
Mentre tira un respiro di sollievo dopo che Napoleone non ha insistito per allargare la nascenda Polonia, ossia il ducato di Varsavia, accenna acutamente che il vero problema dell’Europa napoleonica si stesse creando piuttosto all’estremo occidente: la monarchia spagnola era praticamente in decomposizione. Solo al congresso di Vienna Talleyrand potè però dare prova della sua grande abilità diplomatica