
Nella notte tra l 17 e il 18 giugno 1972 una guardia notturna del complesso Watergate, insospettita da un nastro adesivo fissato alla serratura di una porta, chiamò la polizia di Washington che scoprì in uno degli uffici del palazzo cinque individui che si erano introdotti eludendo abilmente gli impianti di allarme.
L’appartamento in questione era la sede del comitato nazionale del partito democratico e si scoprì subito che uno dei cinque risultava essere un collaboratore del comitato repubblicano per la rielezione di Nixon, James McCord, che si seppe in seguito essere anche un ‘pensionato’ della CIA esperto di intercettazioni. Un legame quindi con la presidenza in carica sembrava appena ipotizzabile, ma, quando la notizia comparve sui giornali, ci fu invece una secca smentita dell’ufficio stampa della Casa Bianca.
«Un furto di terz’ordine» commentò Ron Ziegler che continuò a smentire sistematicamente anche altri dettagli che continuarono però ad essere diffusi negli articoli di Bob Wooward e Carl Bernstein sul «Washington Post».
Se all’inizio la vicenda sembrò limitata alla questione dello spionaggio, i due giornalisti arrivarono al punto di pubblicare informazioni delle quali forse lo stesso Ziegler non era nemeno al corrente, visto che uno degli informatori dei due giornalisti era un dirigente del FBI (Mark Felt, soprannominato ‘Gola profonda’) che da tempo seguiva per interesse professionale cosa succedeva tra le mura della Casa Bianca.
L’autentica ‘bomba’ arrivò dopo: mentre si continuava tra articoli e smentite a seguire la pista dei ‘fondi neri’ a disposizione del comitato per la rielezione di Nixon, nell’estate del 1973 si cominciò a dubitare su alcuni metodi adottati dallo stesso presidente.
Il 6 luglio 1973, nel corso di un’audizione alla commissione del Senato, Herbert Butterfield dicharò che, al contrario di quanto sostenevano il presidente e i suoi collaboratori, le conversazioni alla Casa Bianca erano registrate e quindi esistevano dei nastri.
Fino al 16 luglio la notizia rimase riservata e nel frattempo la commissione chiuse temporaeamente i lavori per la pausa estiva. A dare una mano all’amministrazione nel tacitare le rivelazioni arrivò in ottobre anche la guerra israeliana di Yom Kippur, cui seguì l’embago petrolifero che distrassero in parte l’opinione pubblica da quelle che sembravano malignità di giornalisti e procuratori ambiziosi.
Non bisogna dimenticare infatti che la presidenza Nixon era al suo apogeo: dopo il viaggio in Cina (febbraio 1972), nel gennaio 1973 furono siglati gli accordi Parigi che posero fine alla guerra del Vietnam. Non sembrava possibile all’opinione pubblica che fossero usati mezzi sleali, semplicemente perché non se ne vedeva la necessità. Eppure, come spesso accade in maniera non lineare, si stava aprendo una falla che non si sarebbe più chiusa.
Il 10 ottobre il vicepresidente Spiro Agnew fu costretto alle dimissioni per gravi irregolarità fiscali nella gestione dei fondi elettorali, gli stessi fondi primo oggetto dell’inchiesta del «Washington Post».
Il 20 ottobre passò invece alla storia come il «massacro di sabato notte»: Nixon, che si era sempre rifiutato di consegnare le registrazioni, riuscì a far allontanare due dei tre procuratori che indagavano su di lui mentre il terzo passò ad altro incarico. Dopo questo episodio pronunciò in una conferenza stampa la storica frase che ancora oggi rievoca tutta la vicenda: «I’m not a crook!» (Non sono un imbroglione!).
La pressione per consegna dei nastri però continuava. Avvenne una consegna parziale e gli inquirenti lamentarono la mancanza di almeno un quarto d’ora di registrazione, una ‘svista’ di cui sia addossò la colpa una segretaria della Casa Bianca. Il 24 luglio, ad intimare la consegna integrale dei nastri, intervenne anche una sentenza della Corte suprema.
La sentenza produsse anche un miracolo: furono ritrovati ‘per caso’ anche i nastri di due prima che contenevano le registrazioni relative all’intrusione nel complesso Watergate. Si trattava di una conversazione tra il residente e uno stretto collaboratore in cui erano pronunciate parecchie allusioni al lavoro di cui era stata incaricata una squadra di ‘idraulici’, definizione in codice dei cinque che sarebbero poi stati sorpresi nella notte del 17 giugno 1972.
Il 29 luglio fu votata la messa in stato di accusa e il giorno 8 agosto seguirono le dimissioni, frutto di un patteggiamento che avrebbe assicurato a Richard Nixon l’immunità.
A molti americani forse tornarono in mente le parole di un altro presidente, quando nel pieno della guerra civile Abramo Lincoln aveva detto: «Potete ingannare tutti per qualche tempo e alcuni per tutto il tempo, ma non potrete mai ingannare tutti per tutto il tempo».