Rompere lo schema, pensare in modo spiazzante. Mettere in dubbio quelle certezze assolute che ci rendono schiavi. Agire di conseguenza, senza per forza di cose cercare compromessi con lo spirito malvagio che affetta l’epoca con le sue lame incessanti.
L’insegnamento per un tempo di vita migliore, per un recupero culturale popolare e non schiavizzante di massa non può arrivare dal cuore marcio dell’impero, ma solo dalla periferia del mondo. Dai luoghi non contaminati ancora del tutto dall’omologazione, non resi inerti dal conformismo e dalla colonizzazione. Dai luoghi in cui esistono interstizi, dove il seme può attecchire e far nascere un fiore di rivolta civile.
Recentemente ho letto un discorso interessante che spiegava come occorresse portare i metodi di lotta della città in provincia. Mai concetto può essere più sbagliato. Perché portare un’idea di cultura pop, piegata al marketing dell’industria culturale, immaginari esauriti e indolori per il potere in territori che hanno ancora l’energia per sottrarsi dall’affermazione totalitaria della società massificata? Perché portare il disimpegno sotto false spoglie dell’impegno che non smuove niente in paesi che possono lottare nel mondo reale e non nei circoletti ristretti della virtualità sensoriale?
Luoghi che nutrono memorie, coltivano comunità. E questo vuol dire che servono luoghi reali in cui nutrire memorie, per poter far crescere nel tempo e con spirito democratico una comunità di esseri umani liberi.
Come in un gioco di specchi, difficile procedere tra riflessi e realtà. Pensare di spezzare catene annodandosele alle caviglie, temere il proprio tempo, credersi poveri e inadatti, fuori luogo, ignorandone il valore profondo. Vedersi soli in una massa conforme, senza sapere che tanti sono soli e le apparenze ci guidano alla resa. Ma la realtà ci chiama a una lotta in cui occorre spaccare il proprio labirinto e vedere l’orizzonte.