
L’impegno finanziario Nato fortemente voluto dall’Amministrazione Usa è stato scomposto in due parti: oltre il 3 per cento in investimenti militari veri e propri (a quanto pare soprattutto a beneficio del mercato americano) e il resto in infrastrutture per migliorare la capacità difensiva, con implicite ricadute su ricerca e utilizzo civile. E nelle pieghe di questa ripartizione troverebbe spazio anche il Ponte.
Una soluzione creativa, per trovare soldi che sulla carta non ci sono. Con appena l’1,49% del Pil destinato alla difesa nel 2024, l’Italia è agli ultimi posti per le spese militari e se la soglia del 5 per cento fosse rispettata, bisognerebbe trovare decine di miliardi per i prossimi otto, dieci anni. Da qui l’idea, caldeggiata da Salvini, di classificare come «militare» anche la spesa «strategica» per il Ponte.
Un rapporto governativo, citato da Politico Europe, sottolinea come il Ponte agevolerebbe il movimento delle forze armate italiane e alleate, rafforzando la sicurezza nazionale e internazionale. In effetti, se i marines sbarcati in Sicilia nella Seconda guerra mondiale avessero trovato il Ponte di Messina avrebbero probabilmente accelerato la fine del conflitto. Sembra questo il ragionamento in voga, in caso di invasione russa. Il presupposto ufficiale è infatti il pericolo russo, ma pur ammettendo la necessità di un forte implemento di un sistema di difesa europea, le decisioni assunte impongono nuovo debito e tagli della spesa sociale e sanitaria, con conseguenze sulla tenuta democratica delle società europee.
Con estrema disinvoltura, si può sforare la spesa pubblica, alla ricerca di miliardi di euro che non si trovano per gli ospedali o per le scuole. Ecco quindi la necessità di ricorrere alla fantasia finanziaria.
In pratica, gli oltre 13 miliardi destinati al Ponte entrerebbero in quel 1,5 per cento di Pil che l’Alleanza avrebbe destinato a infrastrutture di interesse strategico. Con il vantaggio di semplificare e velocizzare le procedure. Naturalmente, l’ultima parola spetta agli esperti della Nato che dovrebbero approvare la fantasia degli italiani. In una nota la deputata M5S Daniela Morfino, sottolinea che «un progetto per il Ponte ancora non c’è. Così si tenta l’escamotage del bollino di opera strategica militare, che a questo punto può essere appiccicato a qualsiasi opera in modo fantasioso. L’aspetto più grottesco è che la Lega continua a dirsi contraria a queste spese di matrice bellica, attaccando l’Ue un giorno sì e l’altro pure».
L’aumento al 5% delle spese per la difesa – voluto fortemente da Donald Trump e al quale solo la Spagna è riuscita a sfilarsi, scatenando l’ira del presidente Usa – è necessario e «giusto», ha detto la premier Giorgia Meloni. Le richieste italiane sono state accolte. Tra queste c’è appunto la distinzione tra il 3,5% per le spese militari in senso stretto e l’1,5% per la sicurezza in senso più ampio. Troppo ampio, secondo alcuni.
Il centro studi tedesco Bertelsmann Stiftung ha lanciato un allarme sul rischio di «contabilità creativa», ovvero la possibilità che i Paesi membri facciano rientrare in questo flessibile 1,5% di spesa militare costi per infrastrutture che poco avrebbero a che vedere con la sicurezza e la difesa. Secondo Today.it, è circolata una nota in cui il ministro Salvini definisce l’opera «strategica per la difesa europea e della Nato».
«Il ragionamento è il seguente: il collegamento rappresenterebbe un asse strategico per la logistica civile e militare nel Mediterraneo, considerando che la Sicilia è l’avamposto italiano verso il Medio Oriente e l’Africa. Per questo deve poter essere raggiunta in fretta da uomini e mezzi. Perciò l’opera più declamata d’Italia e mai realizzata, rientrerebbe nel Military Mobility Action Plan e nelle opere strategiche per la sicurezza».
A sostegno indiretto della soluzione all’italiana, giunge a proposito la speciale riunione, in programma a Bruxelles, del comitato Ten-t per la gestione delle grandi reti. Vi partecipano rappresentanti dei 27 Paesi membri, con esperti della difesa e dei trasporti, assieme ai commissari Apostolos Tzitzikostas (Trasporti) e Andrius Kubilius (Difesa) e il segretario generale aggiunto della Nato per la Politica e la Pianificazione della Difesa. La riunione prende in esami progetti per rafforzare le reti logistiche e valutare investimenti in infrastrutture allo scopo di assicurare un più agevole spostamento sul territorio europeo di uomini e mezzi militari.
È così probabile che nel Sud d’Italia, dove ci sono ancora ferrovie a binario unico, le esigenze militari si sposino finalmente con lo sviluppo. Dal rinforzo di ponti all’ampliamento di gallerie fino alla costruzione di raccordi ferroviari, ci sono almeno 500 progetti prioritari, fa sapere la Commissione europea, per permettere lo spostamento di uomini e mezzi, e si intende non solo far partire i cantieri, ma garantire che vi siano tutte le risorse necessarie. I risultati di questo lavoro confluiranno direttamente nel prossimo pacchetto sulla mobilità militare, la cui adozione è prevista entro la fine dell’anno.
«Spetta alle autorità italiane valutare se lo scopo principale del ponte sia militare o civile», ha detto un portavoce della Commissione europea. Precisando che, per classificare la spesa pubblica, l’esecutivo Ue utilizza la cosiddetta Cofog (Classificazione delle funzioni delle amministrazioni pubbliche) adottata in ambito Ocse e Onu. «Questo è particolarmente rilevante per l’attivazione della clausola di salvaguardia nazionale, che consente un aumento della spesa per la difesa senza il rischio che la Commissione avvii una procedura per i disavanzi eccessivi», puntualizza il portavoce.
«Per l’Italia a questo punto si aprono essenzialmente tre strade – scrive l’agenzia Ansa -. Pagare il Ponte di Messina con risorse esclusivamente nazionali (alla Commissione indubbiamente tifano per questa opzione), aggiungerlo alla lista delle opere per cui si attiva la clausola di salvaguardia con le dovute spiegazioni (che Roma per ora non ha però intenzione di utilizzare) oppure chiedere il cofinanziamento europeo (ci sono varie opzioni al riguardo). In ogni caso rientrerà nelle spese Nato per la parte dedicata alla sicurezza (l’1,5%) e contribuirà a raggiungere il target del 5%».