
«Sono 33 i palestinesi uccisi ieri mattina dal missile israeliano che ha colpito il porto di Gaza City. Ha centrato la caffetteria al-Baqa, da tempo il luogo di ritrovo di giornalisti e attivisti.
Cisgiordania: attacchi di coloni contro soldati e poliziotti israeliani. Sostenitori di una monarchia ebraica che non è solo la proposta isolata di un manipolo di fanatici del racconto biblico.
Palestinians carry an injured person out of Al-Baqa Cafe after it is targeted by an Israeli airstrike in western Gaza City, on June 30, 2025, as the war between Israel and the Hamas Islamist militant movement continues.
La giornalista Bayan Abu Sultan, ferita nel raid. Nelle foto di copertina la vedete con il volto coperto di sangue. Sangue c’è anche sulla maglietta dove c’è scritto «Normal is boring», la normalità è noiosa. «L’ironia nera palestinese, una delle tante forme di resistenza, necessarie a non impazzire», sottolinea Chiara Cruciati sul manifesto. Intorno a lei e all’enorme cratere, giovani uomini portano via i corpi delle vittime. «Stavo andando al café per usare internet, ero a pochi metri quando c’è stata l’esplosione – racconta alla Bbc il cameraman Aziz Al-Afifi – I miei colleghi erano là, persone che vedo ogni giorno. La scena era orribile: corpi, sangue, urla ovunque».
Tredici palestinesi sono stati uccisi, come altri 600 prima di loro, mentre si avvicinavano a uno dei quattro centri della fondazione Gaza Humanitaria Foundation. È successo a Khan Younis, con le stesse identiche modalità denunciate per un mese dai palestinesi e confermate nel fine settimana da un’inchiesta di Haaretz: i soldati sparano sui civili dopo averli attirati nei centri Ghf con la fame che ha raggiunto livelli insopportabili (a Gaza non entrano aiuti, se non quelli Usa, dal 2 marzo scorso).
«La folla era posizionata lontano del centro – racconta il giornalista Hani Mahmoud – Non rappresentava una minaccia. Le persone stavano solo aspettando i pacchi alimentari». Bombardato anche il cortile dell’ospedale Martiri di Al-Aqsa (senza nessun avvertimento preventivo) e due scuole-rifugio, una nel quartiere di al-Tuffah e una in quello di Zeitoun. In totale sono almeno 85 i palestinesi uccisi ieri; il bilancio ufficiale in 20 mesi sale così a 56.500, a cui vanno aggiunti per lo meno 15mila dispersi.
Il negoziato che il presidente Trump dice di aver rilanciato. Ieri il Qatar, impegnato nella trattativa tra Israele e Hamas ma non ha nascosto le difficoltà. «L’intransigenza israeliana sul fronte umanitario impedisce passi avanti. La distanza resta la stessa: Hamas vuole il ritiro israeliano e il cessate il fuoco permanente, Israele si ferma allo scambio di ostaggi per qualche settimana di tregua. Ne potrebbe parlare Trump con il premier israeliano Netanyahu, dato in visita alla Casa bianca la prossima settimana», aggiunge Chiara Cruciati.
Ieri l’Alta corte di giustizia della Gran Bretagna ha rigettato la richiesta mossa da organizzazioni per i diritti umani: costringere Londra a bloccare la vendita di armi a Israele, in particolare i pezzi di F35 della Lockheed Martin. Pur riconoscendo che «possono essere state usate per commettere serie violazioni del diritto internazionale a Gaza», nelle 72 pagine di sentenza i giudici Stephen Males e Karen Steyn scrivono che non spetta alle corti decidere in merito ma al governo «democraticamente responsabile di fronte al parlamento e all’elettorato».
Il giorno prima, invece, il più grande fondo pensionistico norvegese, Klp, aveva annunciato l’interruzione dei rapporti con due compagnie che vendono equipaggiamento militare a Israele, la statunitense Oshkosh Corporation e la tedesca ThyssenKrupp. La prima perde 1,8 milioni di dollari, la seconda un milione. Già nel 2021 Klp (un fondo che vale 114 miliardi di dollari) aveva disinvestito da 16 compagnie, tra cui Motorola, e lo scorso anno da Caterpillar per i legami che intessono con le colonie israeliane in Cisgiordania e per l’uso dei loro prodotti per le politiche di occupazione.
«Più numerosi e influenti i settler che vogliono il re e la legge ebraica al posto dello Stato di Israele», avverte Michele Giorgio. ‘Indagini’ blande sugli spari che la scorsa settimana hanno ucciso tre giovani del villaggio palestinese di Kufr Malik, assaltato da decine di coloni israeliani armati. Più attente quelle sui ripetuti attacchi compiuti da coloni contro soldati e poliziotti israeliani. Il giorno successivo, i coloni hanno vandalizzato jeep militari, tagliato pneumatici, lanciato molotov e cercato lo scontro con i soldati, perché avrebbero in parte frenato i raid nei villaggi arabi.
Le condanne dell’accaduto sono state unanimi: dal capo di stato maggiore Eyal Zamir al premier Netanyahu, espressione della destra religiosa al potere. Il ministro della Difesa, Israel Katz, ha convocato una riunione per «sradicare completamente la violenza anti-soldati». Persino il ministro della Sicurezza, Itamar Ben‑Gvir – egli stesso un colono – ha definito l’attacco ai soldati una «linea rossa che non si può superare». L’opposizione, capeggiata dal centrista Yair Lapid, ha etichettato i violenti come «terroristi ebrei e gang criminali», ma si è riferita alle aggressioni a danno dei soldati e non alla popolazione palestinese in Cisgiordania.
Con un governo che li sostiene e li rappresenta, e un’opposizione che li condanna soltanto se attaccano i soldati, le frange più radicali del loro movimento possono rinforzare i ranghi nell’offensiva contro i palestinesi e, in seconda battuta, per trasformare progressivamente Israele in una monarchia. «Sono più numerosi che in passato i coloni che vorrebbero un sovrano con diritti straordinari e una monarchia senza elezioni né un’Alta Corte di Giustizia», dice al manifesto l’analista Michael Mikado Warshawsky, esperto di destra religiosa. «Hanno amici e sostenitori in parlamento e nel governo. E mentre traggono sostegno, finanziamenti e vantaggi dallo Stato di Israele, vorrebbero trasformarlo. Per questo prendono di mira anche i soldati: strumenti di uno Stato che, pur definendosi ebraico, non rispetterebbe, o lo fa solo in parte, l’antica legge ebraica».
Il laboratorio della monarchia ebraica è il collegio rabbinico Od Yosef Hai, nell’insediamento coloniale di Yitzhar, a pochi chilometri da Nablus. Lì, nel 2009, è stato pubblicato il libro Torat Hamelech («La Torah del Re») dei rabbini Yitzhak Shapira e Yosef Elitzur, dedicato all’istituzione di una monarchia ebraico-religiosa che dovrebbe sostituire lo Stato di Israele, efficace quando si tratta di negare i diritti ai palestinesi, ma distante dalla visione divina di redenzione. Verrebbe perciò rimpiazzato da un regno governato non da parlamenti o elezioni, ma da leggi religiose ebraiche e da un re onnipotente, in cui gli ebrei avrebbero diritti aggiuntivi e i non ebrei non potrebbero ricoprire cariche pubbliche. «Torat Hamelech» autorizza lo spargimento di sangue non ebraico in determinate circostanze, e in alcuni casi anche quello degli ebrei.
Sebbene minoritari, questi coloni oggi esercitano un’influenza ideologica e politica significativa. «La visione teocratica dei coloni più radicali non è solo antipalestinese, è anche anti-statale. Da ciò si comprendono le aggressioni a soldati e poliziotti», afferma Warshawsky. «Al momento – conclude l’analista – si concentrano sull’attacco ai palestinesi, poi penseranno alla realizzazione della monarchia ebraica».