‘Françafrique addio’: il Niger si riprende il suo uranio

Sahel francese addio, le ultime miniere di Macron nazionalizzate. Anche la società Orano, dopo l’esercito francese, è costretta alla ritirata per «comportamento sleale». La miniera a cielo aperto di Arlit, al 63,4% dalla multinazionale energetica francese Orano e per il 36,66% dalla società nigerina Sopamin. Il 19 giugno, il Consiglio dei ministri ha deciso di nazionalizzarla per il comportamento «irresponsabile, illegale e ingiusto»

Société des Mines de l’Aïr (Somaïr)

Fino a una settimana fa la miniera di uranio era in gestione della compagnia controllata per il 63,4% dalla multinazionale energetica francese Orano e per il 36,66% dalla società nigerina Sopamin. Il 19 giugno, il Consiglio dei ministri del Niger ha deciso di nazionalizzarla. Secondo le autorità nigerine, il comportamento «irresponsabile, illegale e ingiusto di Orano ha accelerato la svolta storica».

In dicembre le prime tensioni

Gia a dicembre, la giunta del Niger guidata dal generale Abdourahamane Tchiani aveva preso il controllo operativo della ‘Somaïr’, interrompendo l’esportazione dell’uranio. In risposta, la Orano aveva annunciato ricorsi giudiziari. Tuttavia, la posizione delle autorità nigerine è stata inamovibile. Sostenendo che la multinazionale francese aveva adottato «comportamenti sleali» sin dalla rottura delle relazioni diplomatiche tra Niger e Francia, all’indomani del colpo di Stato del 26 luglio 2023. Tra questi, il ritiro del personale francese e il blocco della produzione di uranio. La Orano aveva, inoltre, provato a rivendere le azioni e avviato procedimenti legali contro la Repubblica del Niger.

Scontro coloniale di antica data

Secondo ‘Aghir In’Man’, una ong che difende i dipendenti ed ex lavoratori delle miniere di uranio, gli atteggiamenti disonesti risalgono al 1971, quando la miniera di Arlit divenne attiva. «Ci hanno detto che saremmo stati ben pagati e che il Niger avrebbe prosperato grazie allo sfruttamento dell’uranio. Ci hanno raccontato una montagna di bugie», racconta al manifesto l’attivista, che stima per la popolazione nigerina un incasso sotto il 5% dei ricavi dell’uranio.

Il quotidiano ActuNiger riporta che Somaïr ha prodotto complessivamente 81.861 tonnellate di uranio dall’inizio delle sue estrazioni. Di queste, l’86,3% è stato assorbito da Orano, mentre il 9,2% da Sopamin.

Inquinamento e povertà

Segnata da inquinamento e povertà, Arlit incarna il fallimento di quella promessa di ricchezza ed emancipazione fatta da Orano. Nonché il luogo dei paradossi, sottolinea Nadia Addezio sul manifesto.«Quello che da voi è vietato – l’uso del carbone per produrre l’elettricità – è esattamente ciò che facciamo qui, nella regione di Agadez. Produciamo elettricità col carbone, che alimenta la centrale di Somaïr per fornirvi uranio con cui voi producete energia ‘pulita’». Da qui la nazionalizzazione di ‘Somaïr’ e della società elettrica nigerina ‘Nigelec’ per provvedere alla sovranità energetica. Sin dalla salita al potere della giunta Tchiani, sono state revocate la licenza di sfruttamento del giacimento di Imouraren, gestito da Orano, e i diritti di estrazione alla società canadese GoviEx Uranium nella miniera di Madouela.

Salute e minerale radioattivo

La questione della salute è tra gli aspetti cardine del problema salute con il caso della miniera di Akokan, chiusa nel 2021. «In effetti, la popolazione e i lavoratori sono esposti da decenni alla radioattività e a inquinanti chimici legati all’estrazione. Questa esposizione a basse dosi avviene per inalazione di aria e ingestione di acqua contaminate, e contatto con oggetti radioattivi. Tutto questo aumenta i rischi sanitari», dice Bruno Chareyron, ingegnere energetico e nucleare francese. Chareyron è anche consulente scientifico della ong francese ‘Commissione per la ricerca indipendente e l’informazione sulla radioattività’ (CRIIRAD) che collabora dal 2002 con la Ong Aghir In’Man.

Ancora due mani straniere, Canada e Cina

Due grandi progetti di estrazione, intanto, restano in parte in mano straniera: uno a Dasa, gestito in maggioranza dalla società canadese Global Atomic Corporation; l’altro, ad Azelik, dove la Société des mines d’Azélik (Somina) conta soprattutto investitori cinesi. Nulla di nuovo o meglio per ambiente e salute dei lavoratori la denuncia della popolazione locale, con problemi estrattivi strategici prossimi venturi.

 

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