Sottrarsi

Accendo la tv e vedo giornalisti che sanno tutto di tutto, appesi alle loro tesi, non si sa quanto innervate dall’idea che un pensiero possa esprimersi sulla base di conoscenze e di intuizione e non solo di quel virus del tempo che è il vantaggio irrorato dall’ipocrisia. Discutono per sentito dire, ma con toni definitivi che cementano ogni fessura dialettica. Ognuno recita un copione talvolta ululando, interrompendo, seguendo quei codici che ti fanno credere che i migliori sono quelli che esprimono un concetto, qualunque sia, in venti parole indiscutibili.

Togli l’audio e gesticolano, si toccano di continuo la cravatta. Non hanno pietà. Sono seduti comodi, sanno di essere seduti comodi e di essere appesi a fili visibili, di muoversi con precisione perché quello è il ruolo.

Perché ci perdi tempo? Chiede il barbiere anarchico, alchimista rurale. Recitano l’insignificanza in tempi di propaganda.

Non ce lo perdo. Evito, preferisco di no.

La prima forma di resistenza è il “preferisco di no”, il semplice rifiuto senza neanche argomentare perché non serve. Il no come inizio del senso critico. Perché è meglio sottrarsi, togliersi dal flusso, spegnere il dibattito.

Perché rifiutare è resistenza

Avevo questi appunti di Polemos nel cassetto. Ogni tanto mi viene rabbia, penso alle speranze perdute, alle sconfitte come cicatrici e penso che sarebbe dovuto andare diversamente. Passano i giorni, gli appunti restano su un foglio, servono solo per sentire di meno il peso. Tracce disseminate per meglio agire nella vita di ogni giorno dove le scelte del rifiuto, del preferire di no, hanno un peso. Si vivono con coraggio, hanno conseguenze.

Poi ho letto questo editoriale di Giovanni De Mauro che cita “Carta nera” di Cole Teju. Allora gli appunti sparsi sono diventati questo Polemos. Che si chiude col virgolettato di Cole Teju.

«Propongo una resistenza che parta dal rifiuto. Rifiutare una resistenza priva di coraggio. Rifiutare l’arena convenzionale e portare la lotta altrove. Rifiutare di mangiare con il nemico, rifiutare di alimentare il nemico. Rifiutare di partecipare alla logica della crisi, rifiutare di reagire alle sue provocazioni. Rifiutare di dimenticare le offese dell’anno scorso, del mese scorso e della settimana scorsa. Rifiutare il ciclo delle notizie, rifiutare i commenti. Rifiutare di anteporre il valore della notizia alla solidarietà umana. Rifiutare di farsi intimidire dal pragmatismo. Rifiutare di essere giudicati dai cinici. Rifiutare di trovare consolazione troppo facilmente. Rifiutare di ammirare la pura e semplice sopravvivenza politica. Rifiutare il calcolo del male minore. Rifiutare la nostalgia. Rifiutare di riderci sopra. Rifiutare la visione binaria del terribile passato e dell’atroce presente. Rifiutare di ignorare la condizione di chi viene imprigionato, torturato e deportato. Rifiutare di farsi ipnotizzare dalle dimostrazioni di potere. Rifiutare il branco. Rifiutare il gioco, rifiutare il decoro, rifiutare le accuse, rifiutare la distrazione, che è solo un altro nome per tollerare il male. E quando vi viene detto che non potete rifiutare, rifiutate anche quello.

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