
Anzi, se guardiamo al lungo periodo, per certi versi potrebbe anche essersi aggravato. Il motivo è semplice: o il Presidente Trump ha arruolato tra i suoi informatori Mandrake, oppure il balletto di spiegazioni ottimistiche sul «successo assoluto» dell’operazione contro i siti nucleari non convince proprio nessuno. Ci riferiamo ai bunker di Fordow, con le centrifughe per l’arricchimento dell’uranio date per «completamente distrutte». È vero, il Ministro degli Esteri persiano, Abbas Araghchi, parla genericamente di ‘danni significativi’, e questo non aggiunge granché, perché era scontato. Ma Ali Khamenei, la Guida suprema, ridimensiona tutto. E questo era altrettanto scontato. Mentre negli Stati Uniti è già scoppiata una furibonda polemica, perché parte della stampa (in particolare il New York Times e la CNN) ha messo in dubbio la ‘narrativa ufficiale’.
‘Fonti riservate’ dei Servizi di intelligence del Pentagono, sostengono che tutto il macello combinato dagli americani potrebbe avere solo «rallentato di alcuni mesi la nuclearizzazione degli ayatollah». Apriti cielo! Trump è andato su tutte le furie, chiedendo di cacciare a pedate «i giornalisti che diffondono fake news». Ha detto poi al Segretario alla Difesa, Pete Hegseth, di ribadire che nel sito colpito dalle superbombe a stelle e strisce tutto quello che c’era è stato ridotto in calcinacci. Stiamo parlando, naturalmente, di divagazioni oniriche: nessuno ha i filmati di quello che può essere successo a cento metri sotto terra. Si va per induzione. O per compiacenza. Infatti, ‘l’ultima correzione’ sui danni inflitti a Fordow è arrivata dalla Cia, dopo un colloquio del suo direttore, John Ratcliffe, con Trump. Ratcliffe viene considerato uno dei più chiacchierati tirapiedi del Presidente Usa. Chi invece, istituzionalmente, avrebbe dovuto mettere becco nell’argomento (e smascherare pure l’ambiguità della Cia) è Tulsi Gabbard, che è stata fatta scomparire dalla circolazione.
La Gabbard coordina il Direttorato generale dell’Intelligence (si tratta di 18 Agenzie), comprese le attività della Cia. È la Gabbard che confronta i ‘report’ di ogni singolo Sevizio segreto, li armonizza e poi prepara una ‘National Intelligence Estimate’, per il Congresso e per la Casa Bianca. Dunque? Siamo alle solite. Per chi mastica ‘burocratese istituzionale Usa’, quello che ha detto Ratcliffe vale zero. Sembra più una giravolta professionale per soccorrere Trump, che una valutazione seria basata su prove effettive. Fa differenza? Dal giorno alla notte. Perché, se non si possono controllare i danni inferti, stiamo solo facendo il Gioco dell’oca: la paperella torna al punto di partenza. Tra sei mesi saremo punto e a capo. Quindi, bisogna andare sul posto a verificare. Ma sentite cosa scrive in prima pagina il Teheran Times, organo vicino al regime degli ayatollah: «In risposta alle provocazioni occidentali, l’Iran ha annunciato l’intenzione di costruire un nuovo impianto nucleare e di potenziare l’arricchimento dell’uranio attraverso centrifughe avanzate presso l’impianto di Fordow. Queste misure – aggiunge il giornale – sottolineano il fermo impegno dell’Iran nel suo programma nucleare pacifico, nonostante minacce, sabotaggi e coercizioni».
Questa è la premessa, perché poi il ‘sodo’ della notizia è che, da ora in poi, l’Iran dichiara la fine della collaborazione con l’Aiea, l’Agenzia per l’energia atomica dell’Onu incaricata dei controlli. «I legislatori iraniani in Parlamento – dice ancora Teheran Times – hanno approvato un disegno di legge per sospendere ogni cooperazione con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA), in seguito alla risoluzione politicamente motivata dell’Agenzia e al suo silenzio sui recenti attacchi israelo-americani contro gli impianti nucleari iraniani». A essere preso di mira, in particolare, è il direttore dell’Agenzia, Rafael Grossi, che il regime ritiene colpevole di ‘parzialità’: «Il viceministro degli Esteri iraniano Kazem Gharibabadi – rincara la dose il giornale – ha descritto Grossi come ‘uno strumento nelle mani del regime sionista e degli Stati Uniti’, mentre il portavoce del Ministero degli Esteri Esmaeil Baghaei ha accusato l’Agenzia di tradire il Trattato di non proliferazione e di partecipare a una guerra ingiusta».
A questo punto il vero problema non è quello di capire quanto l’impianto di Fordow sia stato danneggiato. La domanda alla quale gli ayatollah stanno già rispondendo è se in qualche modo il programma nucleare riprenderà. Quello di denunciare la collaborazione con l’Aiea o, comunque eventualmente di condizionarla, potrebbe però essere un espediente per guadagnare potere contrattuale al futuro tavolo delle trattative. «Secondo Alireza Salimi, membro della Presidenza del Parlamento – spiega ancora il quotidiano di Teheran – il disegno di legge, approvato a larga maggioranza, vieta agli ispettori dell’AIEA di entrare nei siti nucleari iraniani, a meno che non siano esplicitamente fornite garanzie di sicurezza nazionale, confermate dal Consiglio supremo per la sicurezza nazionale». Ecco spiegato perché, sotto la cenere, ancora i tizzoni ardono. Netanyahu lo sapeva e stava spingendo, con tutte le sue forze, per un’accelerazione della guerra e un crollo del regime. Ma Trump aveva già mezzo Partito repubblicano in rivolta e, pagata qualche cambiale politica ai suoi donatori miliardari, ha colpito e si è tirato indietro. Ma ora deve fronteggiare la marea montante di uno scetticismo che, a seconda di come si mettono le cose nel Golfo Persico, potrebbe diventare un rovinoso boomerang.
Ecco come la vede il britannico Guardian: «Il rapporto stilato dalla Defense Intelligence Agency Usa, il braccio operativo del Pentagono per l’intelligence, ha concluso che i componenti chiave del programma nucleare iraniano, tra cui le centrifughe, potevano essere riavviati nel giro di pochi mesi. Il rapporto ha anche scoperto che gran parte delle scorte iraniane di uranio altamente arricchito, che potrebbero essere utilizzate per una possibile arma nucleare, sono state spostate prima degli attacchi e potrebbero essere state stoccate in altri siti nucleari segreti gestiti dall’Iran. I risultati della DIA – conclude il Guardian – basati su una valutazione preliminare dei danni causati dalla battaglia condotta dal Comando Centrale degli Stati Uniti, che sovrintende alle operazioni militari statunitensi in Medio Oriente, suggeriscono che la dichiarazione di Trump sui siti ‘distrutti’ potrebbe essere stata esagerata».
La chiosa finale la fa il New York Times, quasi sprezzante sulla qualità delle spiegazioni fornite dall’Amministrazione Triump. «Di fatto, sono trafelati e si arrampicano sugli specchi: ‘Hegseth e Caine approfondiscono i dettagli ma non i risultati degli attacchi iraniani’ – titola il giornale -, e spiega che nessuno dei due ha fornito nuove valutazioni sullo stato del programma nucleare iraniano o sui danni ai suoi siti».
Stiamo parlando del Segretario alla Difesa e del Capo di Stato maggiore congiunto. Cioè, di quelli che ora cercano di tenere in piedi lo stesso sacco, che prima era stato svuotato dai Servizi segreti del Pentagono (DIA), che dipendono proprio da loro. Povera America!