
L’irripetibile Ministro della Difesa israeliano Katz sui blitz aerei nelle prossime ore: «Il Primo ministro e io abbiamo ordinato un’escalation nell’intensità degli attacchi contro obiettivi governativi a Teheran, per destabilizzare il regime degli ayatollah. Khamenei si trova in un bunker fortificato e spara contro ospedali ed edifici residenziali in Israele: questi sono crimini di guerra e sarà ritenuto responsabile». Una bella faccia tosta, per accusare chicchessia di ‘crimini di guerra’, dopo lo sterminio dei palestinesi a Gaza, ma il vero obiettivo di Netanyahu, candidamente confessato da Israel Katz, è quello di rovesciare il governo degli ayatollah. Un colpo di Stato, insomma. E il conto lo paghiamo tutti. A cominciare dagli americani che, come vedremo, si sono scelti un Presidente così schizoide da sbrindellare il suo stesso partito.
Ma allora tutta la narrativa a senso unico sulla crisi, da cui veniamo ‘bombardati’ quotidianamente, è putacaso una vilissima “disinformacja”? Qui nessuno vuol fare da usbergo a un regime, come quello teocratico iraniano, liberticida e corrotto. Ma «est modus in rebus», e la verità deve sempre emergere. Poi, che ognuno si regoli di conseguenza. Parleremmo, allora, nella fattispecie, di una più sofisticata azione di “deformacja” della realtà. Cioè, non di grossolane bugie, ma di parziali ‘verità modellate’, però, in modo tale da giustificare uno sproporzionato ricorso alla forza. Insomma, stiamo discutendo di ‘ragioni’ che, scava scava, alimentano crescenti sospetti di malafede. Ci sono grosse crepe nella narrazione che, sul pericolo del nucleare iraniano, fanno il Direttorato dell’Intelligence Usa e i Servizi segreti israeliani. E il mondo, che rischia la sua stabilità, ha il diritto di sapere. E non sono proprio notizie che confermano uno scenario di assoluta emergenza sulla sicurezza israeliana, quelle che emergono dai primi approfondimenti documentari.
Dunque, il Direttorato per l’Intelligence (un organo che coordina e gestisce i 18 Servizi segreti americani) ha scritto ufficialmente a marzo 2025 nel suo “report” periodico che l’Iran, stante la situazione attuale, avrebbe bisogno di alcuni anni per assemblare una bomba atomica funzionante. Se decidesse di farla. Parere ribadito pochi giorni fa dal capo della stessa Agenzia, Tulsi Gabbard, che è di fatto entrata in polemica col Presidente Trump. La visione di Netanyahu è invece apocalittica. Secondo lui, se non si fosse intervenuti subito (a bombardare) gli ayatollah avrebbero avuto la “bomba” pronta all’uso “tra qualche mese”. ‘Bibi’, però, aveva detto la stessa cosa ben 13 anni fa all’Onu, quando si presentò in Assemblea con i disegni (che sembravano presi da un fumetto di Walt Disney) su come gli iraniani si stessero attrezzando con l’atomica “faidate”.
Domanda: ma perché Trump ha improvvisamente (sembra) cambiato umore, stracciando i “consigli” della Cia e mettendosi sull’attenti per quelli del Mossad? È stata una scelta tragica. E inspiegabile. Che ha spiazzato mezzo partito: il suo. Danneggiandolo. Ecco cosa scrive il Wall Street Journal: «La base politica del Presidente Trump si sta disgregando di fronte alla prospettiva che gli Stati Uniti possano unirsi all’attacco di Israele contro l’Iran, e la Casa Bianca sta cercando di sedare le reazioni. L’acceso dibattito – che si sta svolgendo online, sui media conservatori e a Capitol Hill – ha contrapposto l’ala più isolazionista della coalizione di Trump ai repubblicani più falchi – aggiunge il WSJ – che hanno chiesto al Presidente di intervenire per garantire che l’Iran non sviluppi un’arma nucleare. Questa rappresenta la sfida più forte alla morsa di ferro di Trump sul Partito Repubblicano da quando ha ripreso il potere a gennaio».
Rischia molto, politicamente parlando, Trump. Già sotto pressione concentrica per gli “affairs” dei dazi doganali e della carenza di lavoratori agricoli (per le deportazioni dei migranti) adesso l’Iran gli può alienare una bella fetta di elettorato. Inoltre, la sua Amministrazione, dicono le ‘gole profonde’, è in fibrillazione. Non c’è grande feeling tra Marco Rubio (Segretario di Stato) e Pete Heghseth, Ministro della Difesa. Quest’ultimo non sembrava molto convinto della necessità di intervenire in Iran. E lo ha detto davanti al Congresso. Stessa cosa per il generale Dan Caine, Capo dello Stato maggiore congiunto. Mentre, a spulciare le cronache, uno di quelli che hanno becco e artigli affilati è il generale Michael Kurilla, il comandante dello US Central Command. Con un nickname azzeccato (‘Gorilla’), il generale non solo si è vantato di «avere predisposto i piani di attacco all’Iran», ma ne ha pure sollecitato l’esecuzione. Dicendo che le opzioni erano pronte da tempo.
E la cosa ci induce a scavare ancora, fino a convincerci del fatto che qualcuno voleva questa guerra. Da anni. Da decenni. In uno splendido (e coraggioso) articolo apparso ieri sul quotidiano di Tel Aviv, Haaretz, Akiva Eldar espone il punto di vista di un commentatore israeliano ‘illuminato’. «Ho partecipato a incontri per la creazione di una zona – scrive Eldar – che fosse libera da armi nucleari in Medio Oriente. Alla Conferenza di Helsinki, un’iniziativa guidata dal Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, un ambasciatore iraniano in pensione e un accademico iraniano si sono seduti accanto ad accademici israeliani, un ex ufficiale dell’intelligence delle IDF, un generale saudita in pensione e studiosi provenienti da Libano e Yemen. Come previsto – aggiunge Eldar – il Primo Ministro Benjamin Netanyahu si è opposto all’iniziativa. Obama, vincitore del Premio Nobel per la Pace, non solo l’ha accantonata, ma ha ribadito la promessa di Bill Clinton di continuare a sostenere la politica di ambiguità nucleare di Israele.
L’accordo sul nucleare iraniano che Obama ha contribuito a siglare nel 2015, nonostante le forti obiezioni di Netanyahu, ha eliminato l’idea del disarmo regionale dall’agenda – e poi Netanyahu ha convinto Donald Trump a ritirarsi dall’accordo nel maggio 2018».
Ricapitoliamo. Obama aveva posto una condizione esiziale, come premessa: Medio Oriente denuclearizzato. L’Iran l’ha accettata, mentre Israele l’ha rifiutata, facendo fallire in partenza gli sforzi del Presidente Usa, che ha dovuto ripiegare sul Trattato firmato con gli ayatollah. «Successivamente, però – prosegue Eldar – Trump si è schierata con Israele, ed entrambi i governi hanno votato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite contro la convocazione di una conferenza per creare un Medio Oriente libero da armi di distruzione di massa. Non erano i soli: anche Liberia e Micronesia hanno votato contro. L’Iran ha votato a favore». Dunque, anche chi non vuole capire o fa finta di non capire (come la Commissione di Bruxelles), che cita a proposito (e spesso a sproposito) il diritto internazionale, non può ignorare la realtà dei fatti. C’è stata una corsa all’atomica in Medio Oriente? E se si, chi è stato e con la copertura di chi? Scrive ancora l’israeliano Eldar: «In risposta a quella risoluzione, Netanyahu ha annunciato che Israele non avrebbe sostenuto le decisioni delle Nazioni Unite sul disarmo in Medio Oriente, né avrebbe partecipato alle riunioni regionali sulla questione».
Nel febbraio 2021 – prosegue l’analista di Haaretz – nel suo primo discorso alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden promise che il disarmo nucleare sarebbe stato un obiettivo centrale della sua Amministrazione. Questo è quanto promise, perlomeno. «Nel dicembre dello stesso anno, 178 paesi votarono a favore di una risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che invitava gli Stati del Medio Oriente a non sviluppare, produrre o acquisire armi nucleari. La risoluzione esortava inoltre i Paesi della regione ad aderire al Trattato di Non Proliferazione Nucleare». A questo punto, la conclusione della vicenda coincide perfettamente col messaggio che vuole lanciare Eidar ai ‘giustizieri’ israeliani e occidentali.
«La risoluzione – dice – è stata approvata con 178 voti favorevoli (tra cui l’Iran, firmatario del Trattato di non proliferazione nucleare). Un solo Paese ha votato contro, Israele, che si rifiuta di firmare il trattato. Due paesi si sono astenuti: Camerun e Stati Uniti».
Israele che si è sempre rifiutato di firmare i Trattati sulla non proliferazione e che ripete da almeno 10 anni che gli ayatollah «hanno quasi la Bomba», attacca l’Iran, che invece i Trattati li ha firmati. E si porta appresso un Trump che minaccia fuoco e fiamme e ripete, come un mantra, davanti alle telecamere: «Non m’importa niente delle conseguenze. L’Iran non avrà mai una bomba atomica». Sarà guerra, insomma.
Ma Mr. President, lasciando da parte il diritto internazionale, che lei tratta ruvidamente, e fermandoci solo alla più elementare delle logiche che governano la geopolitica: mi spiega perché Israele può avere (come ha) già cento bombe atomiche e l’Iran viene invece attaccato perché (forse) in futuro potrebbe decidere di fabbricarsene una?