
Fa differenza? Tantissima. Perché il “pacificatore” Trump, seguendo le sue bizze, adesso si è cacciato (e forse ci ha cacciati tutti) in un vero ginepraio.
Nessuno può prevedere gli immediati sviluppi della crisi, cioè ‘come’ e ‘quanto’ reagiranno gli iraniani. Hanno molti modi per ‘far male’, e non solo agli israeliani. Cominciando dalla eventuale ‘chiusura’ dello Stretto di Hormuz, da dove passa circa il 30 per cento del traffico mondiale di greggio. «Un conflitto armato su vasta scala tra Israele, Stati Uniti e Iran chiuderebbe sicuramente lo Stretto di Hormuz, almeno per un certo periodo di tempo, e farebbe salire i prezzi del petrolio», ha detto alla Reuters l’associazione marittima BIMCO e riportato il think tank Al Monitor. Arne Rasmussen, analista di Global Risk Management, in un post su Linkedin ha affermato che la chiusura dello Stretto di Hormuz sarebbe un ‘vero incubo’ per il mercato petrolifero. Nel 2024, quasi 16,5 milioni di barili al giorno di greggio e condensato – provenienti da Arabia Saudita, Iran ed Emirati Arabi Uniti – hanno attraversato lo Stretto, secondo i dati Bloomberg. Assieme al 20% del gas naturale liquefatto mondiale proveniente dal Qatar.
Se il risvolto negativo più immediato dell’attacco israeliano dovesse essere proprio questo, l’acquiescenza (se non la vera e propria complicità) di Trump con Netanyahu metterebbe soprattutto l’Europa a dura prova, sottoponendola a un altro stress di tipo energetico. Soprattutto, lo scoppio di una guerra del Golfo (che a questo punto non si può escludere) spariglierebbe i fragili equilibri e le ‘linee rosse’ di altre aree di crisi. Un rilancio dei prezzi dell’energia, causato dall’eventuale ‘tappo’ al collo di bottiglia di Hormuz, per esempio, favorirebbe l’export di Putin e la sua capacità di finanziare il conflitto in Ucraina. Certo, tutto dipende dalla reazione iraniana e, soprattutto, dal ‘decision making process’ che studia e mette in moto le strategie del regime.
In questa fase, si è già scatenata la lotta per la successione ad Alì Khamenei, 86 anni, la Guida Suprema. Non siamo sicurissimi che tutto dipenda sempre da lui. La fazione degli ‘intransigenti’ (il Corpo delle Guardie rivoluzionarie) è in pratica uno Stato nello Stato, e cerca lo scontro con l’Occidente. Il blocco moderato, ‘trattativista’, che pesca nel vecchio ‘Partito del Bazar’, rappresentato dal Presidente Masoud Pezeshkian, punta invece a un accordo sul nucleare, per aggiustare la traballante economia. Ora, di fatto, il feroce attacco israeliano ha indebolito i riformisti e ridato, invece, fiato ai ‘duri e puri’ che cercano il martirio. Questo significa che se gli estremisti riusciranno a dimostrare quello che, a prima, vista sembra palese, e cioè che gli americani hanno collaborato all’operazione di bombardamento, allora potrà succedere di tutto e l’escalation è assicurata.
Ieri, la voce quasi ufficiale del regime, il Teheran Times, ha pubblicato con grande evidenza 10 “chiarimenti” sull’attacco, che vanno interpretati, perché offrono utili chiavi di lettura.
Bisogna solo aggiungere, per completezza di informazione, che ‘quasi a orologeria’, in concomitanza con l’attacco, è apparso, un rapporto ONU di condanna dell’Iran (ma votato a maggioranza) che ribadisce però notizie vecchie di anni (l’arricchimento al 60 per cento) e ‘tracce’ di arricchimento all’87 per cento. Ancora più importante, sia il Ministro della Difesa Usa Pete Hegseth, sia il suo Capo di Stato maggiore congiunto, Dan Caine, hanno ribadito davanti al Congresso che l’Iran «potrebbe avere in futuro qualcosa che assomiglia a una bomba atomica».
‘Qualcosa che assomiglia a una bomba atomica’
Ma per ora l’Iran non ha il resto di niente. E, ‘last but not least’, Hegseth ha citato (per l’ennesima volta) l’ultimo rapporto dell’Intelligence americana (marzo 2025): «Tranquilli, nessun allarme». A questo punto Trump che farà? Chiuderà anche i suoi Servizi segreti, che non la pensano come lui?