
Le poche notizie per ora note
L’aeronautica israeliana ha sferrato cinque ondate di attacchi su otto diverse città iraniane. Oltre 200 caccia coinvolti che hanno sganciato oltre 330 bombe su circa 100 obiettivi. Oltre all’impianto nucleare di Natanz, a sud di Teheran, e a diversi obiettivi nei dintorni della capitale iraniana, sono finite nel mirino anche le città di Ilam e Avaz, al confine con l’Iraq, la città di Tabriz, nel nord ovest e sede di importanti raffinerie; le città di Esfahan e Arak a sud della capitale e la città di Kermanshah, a ovest di Teheran.
Assassini mirati
Secondo il portavoce delle forze armate israeliane, nei raid sono stati uccisi diversi alti funzionari iraniani, tra cui il capo di Stato maggiore Mohammad Bagheri, il capo dei Guardiani della Rivoluzione islamica Hossein Salami e il capo del quartier generale centrale di Khatam-al-Anbiya, Gholam Ali Rashid. Hanno perso la vita anche due scienziati: Fereydoun Abbasi, ex capo dell’Organizzazione per l’energia atomica iraniana e Mohammad Mehdi Tehranchi, fisico e rettore dell’Università islamica Azad di Teheran.
«Giovedì – riportava il quotidiano di Tel Aviv, Haaretz – il Consiglio dei governatori dell’organismo di controllo nucleare delle Nazioni Unite ha formalmente constatato che, per la prima volta in 20 anni, l’Iran non sta rispettando i suoi obblighi nucleari. Una mossa che potrebbe avviare un tentativo di ripristinare le sanzioni delle Nazioni Unite contro Teheran entro la fine dell’anno. L’Iran – proseguiva Haaretz – ha reagito immediatamente, affermando che avrebbe creato un nuovo impianto di arricchimento ‘in un luogo sicuro’ e che ‘sono in fase di pianificazione altre misure’. Anche se, viene sottolineato, i sospetti occidentali su un programma atomico segreto dell’Iran si fermano al 2003.
Il Presidente Trump aveva detto di voler evitare un conflitto con l’Iran, chiedendo maggiori concessioni. «È molto semplice. L’Iran non può avere un’arma nucleare», e ha poi aggiunto che «può accadere di tutto». E come ‘condimento’ a questo suo approccio, diventato improvvisamente più duro, Trump ha dato ordine di evacuare parte del personale americano presente nelle basi e nelle ambasciate in Irak e Bahrein. Una mossa preventiva in caso di rappresaglia iraniana? Possibile.
Una guerra nel Golfo Persico scuoterebbe/scuoterà il mondo, perché gli ayatollah controllano lo Stretto di Hormuz e il prezzo del petrolio salirà verso le stelle. Per questo, molti analisti, finora, sono stati assai restii a credere che Trump potesse ‘autorizzare’ Netanyahu a fare un passo del genere. Il New York Times, che ha lanciato per primo l’allarme ieri, dà atto al Presidente Usa di essersi opposto, fino a questo momento, alle foie belliciste israeliane. «Due settimane fa – aggiunge NYT – Trump ha dichiarato di aver avvertito Netanyahu di non lanciare un attacco mentre erano in corso i negoziati tra Stati Uniti e Iran».
Sempre che, invece, non si tratti di in gigantesco bluff diplomatico per costringere Alì Khamenei a bere l’amaro calice dell’accordo, o del sapere di un attacco pòredisposto di fatto. Il quadro che della crisi (lato Usa) che fà il think tank Al Monitor, lascia pensare che, dentro l’Amministrazione Trump, si stia tirando il Presidente per la giacca. «Il Segretario alla Difesa statunitense Pete Hegseth ha detto mercoledì ai legislatori del Senato che ‘ci sono state numerose indicazioni’ che l’Iran si stia ‘muovendo verso qualcosa che assomiglierebbe molto a un’arma nucleare’».
Hegseth ha rilasciato questa dichiarazione ai membri della Commissione per gli stanziamenti del Senato degli Stati Uniti, durante un’udienza sul bilancio. Il commento è arrivato in risposta al senatore Lindsey Graham, che ha insistito affinché Hegseth dichiarasse se l’Iran stesse perseguendo la costruzione di un’arma nucleare. Sia Hegseth che il generale di punta del Pentagono, il Capo di stato maggiore congiunto, il generale Dan Caine, hanno esitato. I due massimi funzionari della Difesa – conclude Al Monitor – non si sono pronunciati neanche quando Graham, alleato di Trump e falco dell’Iran, ha chiesto loro se ritenessero che l’Iran avrebbe utilizzato un’arma nucleare contro Israele, se ne avesse ottenuta una. «Non so se lo userebbero’, aveva risposto Caine. «Se la otterranno, useranno un’arma nucleare», ha risposto invece Graham.
Il suo problema è quello di distruggere i bunker, minimizzando le perdite. Per fare questo, deve sfruttare una ‘finestra di opportunità’ temporale, di alcuni mesi, durante i quali l’antiaerea missilistica degli ayatollah sarà in fase di riparazione, dopo gli ingenti danni subiti in seguito all’ultimo attacco israeliano. Il grande pubblico non lo sa, ma in quell’occasione Netanyahu condusse una ‘rappresaglia mirata’, studiata per distruggere le micidiali batterie di missili di fabbricazione russa. Venne condotta per preparare il terreno all’attacco finale contro le installazioni di arricchimento dell’uranio. Adesso gli ayatollah stanno ristrutturando le postazioni anti-aeree, per cui era diventata una corsa contro il tempo.
Il nucleare non è la sola urgenza, ma esistono altri intoppi che sbarravano la strada dell’intesa con gli ayatollah. E il principale è proprio quello dei missili balistici, che Teheran può esportare verso tutti gli ‘Stati-canaglia’, come lo Yemen degli Houthi o il Libano di Hezbollah. Per non parlare di tutti i gruppi jihadisti, che affollano le contrade del Medio Oriente e non solo.
Stanotte da Tel Aviv, l’ultimo inganno mentre i cacciabombardieri carichi di superbombe colpivano: «Il Comando del Fronte Interno dell’Esercito israeliano dichiara che non sono state apportate modifiche alle istruzioni per il pubblico, avvertendo di non dare credito alle voci sui media e online, in seguito alle segnalazioni di un possibile attacco agli impianti nucleari iraniani».