L’America che nacque contro i dazi e le tasse britanniche

Una delle frasi che esprime un concetto politico fondamentale della rivoluzione americana è «no taxation whitout rapresentation»: senza rappresentanza parlamentare non c’è tassazione’. Il principio risaliva ai tempi del confronto tra corona inglese e parlamento avvenuto più di un secolo prima, ripreso dai coloni americani che contestavano l’imposizione di tasse da parte britannica senza poterne discutere.

Le recenti vicende sui presunti abusi nell’esercizio del potere esecutivo da parte di Donald Trump in materia di tassazioni, stanno creando una sorta di corto-circuito poiché sulla ‘tassazione’ si fonda uno dei principi della dottrina costituzionale americana.

I mitici padri fondatori e la questione fiscale

L’opera tuttora fondamentale per capire il sistema costituzionale americano è «Il Federalista», una raccolta di articoli pubblicati sulla stampa tra 1787 e il 1788 e scritti da tre delle personalità politiche più influenti dell’epoca: Alexander Hamilton, James Madison e John Jay. L’importanza degli articoli, scritti durante le sedute per l’approvazione della costituzione, consiste nel fatto che, non solo di volta in volta era riassunto il dibattito in corso, ma caldeggiando l’approvazione delle singole parti, se ne illustrava anche l’interpretazione futura.
Il potere legislativo, che di fatto stabiliva tasse, tributi e altre imposizioni, fu associato all’immagine della borsa, ovvero le finanze pubbliche come risorsa per il funzionamento dello stato, attendendosi tuttavia che non esercitasse abusi o arbitri, né che operasse fuori dai limiti della costituzione. La questione fiscale del resto era stata proprio all’origine della rivoluzione americana e costituì da subito il maggior problema politico, visto che gli Stati Uniti erano usciti indipendenti e vittoriosi, ma indebitati fino al collo.
La prima rivolta fiscale si verificò nel 1799, sotto la presidenza di Johm Adams: rifiutando il pagamento di una tassa fondiaria in Pennsylvania furono aggrediti esattori e bruciati libri contabili, fino a quando della riscossione non fu incaricato l’esercito. Di fatto la prima imposta progressiva sul reddito fu istituita solo nel 1862, ma nel frattempo si erano verificate varie rivolte per non pagare l’imposta sul whisky, sugli zuccheri. ma anche sugli schiavi. Proporre e approvare una nuova tassa, non solo è ancora difficile politicamente, ma di fronte ad un’opinone pubblica sempre sospettosa in materia, per non dire riottosa, necessita ampio consenso e approvazione anche al di la di una corretta procedura.

I poteri presidenziali con o senza approvazione

Fino al XX secolo il problema dei poteri del presidente in tema di ‘guerra economica’ non si pose. Un unico precedente si ebbe ai tempi della guerra civile: tra le prime misure per fronteggiare la secessione degli stati del sud, Lincoln – mentre il congresso non era ancora in sessione – decretò il blocco navale contro i ribelli e l’aumento della spesa della marina, provvedimento che, nonostante l’evidente incursione presidenziale tra le prerogative del legislativo, fu poi approvato.
Il primo caso importante del Novecento si verificò con la Prima guerra mondiale, nella quale – bisogna ricordarlo – gli Stati Uniti entrarono nella tarda primavera del 1917: in ottobre il Congresso approvò la legge federale ‘Trading wiht Enemy Act’ (legge sul commercio con il nemico) che conferiva al presidente senza autorizzazione parlamentare di limitare o escludere il commercio – o di esercitare un embargo – nelle relazioni con paesi nemici degli Stati Uniti.
Fu sulla base di questa legge. che delegava il presidente, che Franklin Delano Roosevelt limitò le esportazioni di oro e nel 1940 bloccò le attività americane in Norvegia e Danimarca occupate dai nazisti. Nel 1968 Lyndon Johnson ricorse alla stessa legge per limitare l’esportazione di capitali dagli Stati Uniti e, non senza qualche artificio, nel 1971 Richard Nixon tentò di manipolare il valore del dollaro per rendere più competive le esportazioni americane sul mercato internazionale.
Solo nel 1982, a più di mezzo secolo dall’entrata in vigore e dopo due guerre mondiali, furono dichiarate decadute le dichiarazioni presidenziali relative alle vecchie applicazioni, ma la legge non fu per questo abrogata, anche se solo Cuba, antico e irriducibile nemico nei Caraibi, è infatti ancora soggetta a pesanti restrizioni.

Le emergenze

Nel 1977 fu approvata un’altra legge federale: l’International Emergency Economic Powers Act (legge sui poteri economici di emergenza internazionale) prevedeva un ampliamento di poteri presidenziali a fronte di «minacce inusuali e di carattere straordinario» rivolte agli Stati Uniti con interventi sul commercio internazionale, sulla finanza o sui beni dei cittadini di stati in conflitto con gli Stati Uniti. Le prime applicazoni, ancora in clima di guerra fredda, si rivolsero quindi al confronto con l’Unione Sovietica e alla caduta della superpotenza antagonista toccò agli stati-canaglia che sostenevamo il terrorismo o coinvolti nel possesso di «armi di distruzione di massa».
Nel 2014 la situazione poteva dirsi però fuori controllo: con il motivo della sicurezza americana erano stati emessi più di una cinquantina di provvedimenti presidenziali rivolti a Cuba, alla Cina e ad Hong Kong, alla Serbia e al Montenegro, alla Siria, al Libano, ai Talebani, all’India, al Pakistan, al Ruanda fino agli ultimi connessi alla situazione ucraina e della Crimea.
Ad ogni dichiarazione di pericolo, seguivano provvedimenti presidenziali che limitavano i normali scambi internazionali. Il tutto in maniera rigorosamente ‘bipartisan’, nel senso che tali interventi furono condotti sia da democatici che repubblicani: proprio il giorno 8 novembre 2016 infatti, il giorno della prima elezione di Trump, Obama rinnovò la durata di un provvedimento già emesso da Clinton nel 1994 e basato sul pericolo della diffusione di «armi di distruzione di massa».

Se – come sembra prevedibile – il fantasioso ricorso ai dazi alla fine non risultasse giustificabile sulla base di queste leggi che regolano condizioni belliche o di minacce terroristiche, per la Casa Bianca potrebbe aprirsi una situazione nuova, ma anche per i poteri del presidente in grado finora di decretare da solo piccole sanzioni.

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