
Alzi la mano, chi ha avuto dimestichezza in vita sua con l’itterbio, il samario o il veneratissimo disprosio, metallo, quest’ultimo, dalle incredibili qualità, che calzano a pennello per fare (guarda tu!) sofisticatissimi caccia da combattimento, al modico prezzo di 100 e passa milioni di dollari cadauno. Dunque, la ‘rarità’ di queste materie prime sta nel fatto che entrano nella produzione di beni ad altissimo valore aggiunto. Che costano un occhio (come quelli militari) o che rendono tantissimo, perché si tratta di prodotti di largo consumo, ma di ‘fascia alta’. Bene, dove sta il problema? Semplice. Qualcuno ha dimenticato di dire a Trump (e alla Von der Leyen) che il «magazzino dei rifornimenti» delle terre rare si trova in Cina. Nel senso che Xi Jinping e compagnia gestiscono i giacimenti e la principale catena di distribuzione di questi indispensabili ingredienti dell’industria avanzata occidentale.
A questo punto, non bisogna essere politologi per capire che, se tu mi fai la guerra doganale con i dazi, io ti colpisco di rimbalzo con le armi che ho. Detto fatto. Xi se la prende con Trump, ma mette in mezzo anche l’Europa, che già da alcuni anni (da quando era arrivato Biden alla Casa Bianca) era andata appresso, acriticamente, agli americani nell’escalation anti-cinese. Pechino è stata definita ufficialmente, nei documenti dell’Unione, «un’avversaria strategica». Per cui ora, i padroni del vapore di Bruxelles, stanno facendo pagare ai cittadini europei, di sguincio, il prezzo della loro arroganza diplomatica. Sentite cosa scrive Der Spiegel, a questo proposito: «La carenza di disprosio, terbio, e altre terre rare sta causando tagli alla produzione in Germania. Come riporta l’Handelsblatt citando fonti aziendali e governative, alcune aziende hanno già chiuso le loro linee di produzione; altre stanno per farlo. Secondo il rapporto, tra le aziende colpite figurano appaltatori della difesa, aziende di tecnologia medica ed elettronica e case automobilistiche».
L’elemento scatenante – prosegue Der Spiegel – è stato un decreto cinese di aprile. In risposta ai dazi statunitensi, Pechino ha introdotto controlli sulle esportazioni di sette cosiddette terre rare, compresi i magneti realizzati con leghe di questi metalli. Le restrizioni non riguardano solo le aziende statunitensi, ma anche quelle europee». Dunque, e non poteva essere altrimenti, vista la struttura del suo apparato produttivo, la Germania è stata una delle prime ‘vittime’ europee del fuoco incrociato tra Cina e Stati Uniti. Ma è tutta l’industria dell’Unione, che produce beni di ‘fascia alta’, a essere colpita e, soprattutto, a temere una vera e propria crisi della catena di approvvigionamento. Per questo, si comincia a correre ai ripari. Mettendo pezze. Dopo essersi imbarcati in una guerra santa geopolitica contro Pechino, solo per compiacere Washington.
Ieri, il Financial Times ha pubblicato un articolo che riassume le preoccupazioni delle aziende europee e che dà notizia di un’iniziativa: si invoca, concretamente, un trattamento differenziato per le imprese del Vecchio continente, rispetto a quelle americane. «Le aziende dell’UE – scrive il FT – stanno facendo pressioni su Pechino affinché istituisca un canale speciale per accelerare l’approvazione cinese delle licenze di esportazione di terre rare per le aziende ‘affidabili’, poiché i rigidi controlli della Cina sulle spedizioni di minerali essenziali minacciano le catene di approvvigionamento in tutto il mondo. La proposta è stata avanzata durante un incontro tra aziende europee e funzionari del Ministero del Commercio cinese, secondo tre persone informate sulla questione, e giunge mentre i funzionari europei avvertono che le loro fabbriche rischiano la chiusura a causa delle misure cinesi, che originariamente erano rivolte agli Stati Uniti».
Le ‘terre rare’, per Pechino, sono dunque uno strumento di pressione politica e commerciale formidabile. Si tratta di 17 elementi introvabili e costosi, che gli specialisti suddividono in tre gruppi, in base al loro peso e alle proprietà. La Cina ne produce circa il 70 per cento dell’intero pianeta, ma arriva a raffinarne una quantità, commercializzandola, che supera la soglia del 90 per cento. Der Spiegel porta due esempi delle capacità contrattualità cinesi in questo campo: «Il governo di Pechino – scrive il giornale tedesco – ha dimostrato il suo potere nel settore già nel 2010. In quell’occasione, ha ridotto temporaneamente e drasticamente le esportazioni di terre rare, lasciando di stucco gli acquirenti in tutto il mondo». «La Cina –-aggiunge Der Spiegel – ha ora imposto restrizioni all’esportazione di sette dei 17 metalli. L’entità di queste restrizioni per gli Stati Uniti e, probabilmente, per altre nazioni, dipenderà in modo cruciale dalla loro portata.
Le restrizioni cinesi sul ‘disprosio’ colpiscono duramente gli Stati Uniti. Questo metallo bianco-argenteo, appartenente al gruppo delle terre rare pesanti, è un componente di magneti permanenti che devono resistere ad alte temperature. Questi magneti ad alte prestazioni sono utilizzati in applicazioni come auto elettriche e turbine eoliche, ma anche in droni e aerei da combattimento”. E qui Der Spiegel ci fa capire perché Trump, nel suo incontro con Zelensky, gli abbia quasi estorto il contratto di sfruttamento Usa delle ‘terre rare ucraine’: «Secondo la società di analisi SFA Oxford – chiarisce il giornale tedesco – la statunitense Boeing dipende dal disprosio per il super caccia F-47, elogiato da Trump. Inoltre, il produttore americano di chip per l’intelligenza artificiale, Nvidia, ha installato un condensatore in disprosio ad alta purezza in ciascuno dei suoi semiconduttori. Il disprosio è un metallo che si può acquistare quasi esclusivamente dalla Cina. Come il terbio, che viene impiegato nei sonar per sottomarini o nelle munizioni a guida di precisione». La Cina controlla oltre l’80% del mercato globale del metallo argenteo.
I controlli sulle esportazioni riguardano anche il samario che, in accoppiata col cobalto, serve a realizzare potenti e sofisticati magneti, da impiegare soprattutto sulle navi da battaglia (è ovvio) e sugli aerei da guerra. Ci sarebbero anche gadolinio, scandio e lutezio. Ma questi sono meno ‘urgenti’ perché gli americani ne hanno una buona scorta. Insomma, a pensarci bene, la cupidigia e le brame di arricchimento che stanno dietro la ‘geoeconomia’, ci potranno forse salvare (paradossalmente) da un destino infame, che invece sembra riservarci la sfera ’geopolitica’, che appare dominata da una manica di mezze figure, travestite da statisti.
Guerre commerciali come avvertimento
Si, perché tra una minaccia di Armageddon e l’irresistibile appeal della «Sesta estinzione di massa», che sembra aver colpito, in primis, l’intero Occidente, ogni tanto fa capolino una notizia che invita a riflettere. Le ferite provocate dalle guerre commerciali, fanno certamente male. Ma possono anche essere una salutare esperienza, per capire come fare ad evitare altri dolori, che sarebbero sicuramente più tragici e meno riparabili.