È possibile fare il punto sulla guerra in Ucraina senza riproporre bugie?

La guerra ha come prima arma la bugia. ‘Idealpolitik’ per venderla, la più feroce Realkpolitik per vincerla. E per conciliare tra loro questi opposti, c’è solo la regola della bugia. L’inganno dovuto contro la parte avversaria che deve coinvolgere anche la propria popolazione e ormai l’opinione pubblica mondiale.

Giornalismo trombettiere

Strumento principe, in controllo delle fonti informative internazionali chiave e dell’accesso al campo di battaglia, il giornalismo trombettiere arruolato o la semplice attitudine a servire, e il gioco è fatto. Ridurre le conquiste altrui, e trasformare ogni azione, anche la più brutale o addirittura perdente, in qualcosa di nobile o almeno di vincente. Intanto nella guerra in Ucraina la tecnologia ha ridefinisce più di qualsiasi altro precedente le regole del gioco.

Intelligence satellitare e droni

Per gli analisti di cose militari –Giuseppe Gagliano la nostra ’fonte’ (Network internazionale Cestudec: Centro studi strategici Carlo de Cristoforis) su Analisi Difesa -, «la guerra in Ucraina si caratterizza per il supporto di intelligence satellitare ed elettronica dagli Stati Uniti, con ogni concentrazione o movimento di truppe è sotto costante monitoraggio. E i droni – di tutte le portate e carichi utili – si sono affermati come strumenti economici e letali, capaci di distruggere il potenziale nemico con precisione chirurgica».

Ma non tutto è tecnologia

Tuttavia, la tecnologia non risolve tutto, riconosce alte il ‘tecnico’. Oggi l’Ucraina si trova a fronteggiare una crisi umana drammatica. Con una popolazione di circa 35 milioni di abitanti – quattro volte inferiore a quella russa, stimata in 140 milioni – l’esercito ucraino, composto in gran parte da civili militarizzati, è stremato dopo tre anni di conflitto. Le perdite sul campo, le diserzioni e le fughe all’estero rendono la mobilitazione di nuove leve fallimentare.

La nuova strategia russa

Sul piano operativo –spiegano i tecnici-, la Russia ha affinato una strategia che privilegia l’efficienza e minimizza le perdite. Di fronte a città ucraine trasformate in fortezze, come Pokrovsk, con oltre 5.000 abitanti, il comando russo evita gli assalti frontali, preferendo tattiche di accerchiamento. Le forze russe tagliano le linee di rifornimento isolando le postazioni ucraine, e colpiscono con un arsenale di bombe plananti, missili, artiglieria e droni kamikaze. Una volta indebolite le difese, piccoli commando di forze speciali vengono inviati per neutralizzare le ultime resistenze.

«Questa strategia ha permesso un’accelerazione impressionante: nel 2025, la Russia avanza a una media di 30 km² al giorno, rispetto ai 30 km² al mese del 2024. Le recenti offensive a Kursk, nel Donbass e attorno a Kherson testimoniano l’efficacia di questo approccio».

Politica e comando militare

Altro fattore citato, il rinnovamento della catena di comando russa. «Vladimir Putin, a differenza di Volodymyr Zelensky, non interferisce direttamente nelle operazioni militari, limitandosi a orientamenti strategici generali». E promuovendo una nuova generazione di generali. Esempio simbolo, Andreï Mordvitchev, nominato a soli 49 anni capo di stato maggiore delle forze terrestri, per un esercito con 14 divisioni operative, dieci volte più grande di quello francese. O il colonnello generale Valeri Solodtchouk, 54 anni, artefice della riconquista di Kursk. «Ringiovanimento strategico, che ha dato nuovo slancio alle operazioni russe».

Zelensky in difficoltà, NATO e UE in affanno

Zelensky invece utilizza le operazioni militari come strumento di comunicazione politica per mantenere il sostegno degli alleati occidentali, ma con costi umani devastanti. L’ordine di resistere a oltranza in posizioni insostenibili, come il ponte di Bakhmut, dove i soldati ucraini sono stati lasciati morire; l’offensiva dell’estate 2023, che ha decimato 12 brigate senza ottenere risultati significativi; e l’incursione a Kursk, costata la perdita di tre delle migliori brigate ucraine. Scelte criticate anche da fonti occidentali che hanno indebolito ulteriormente l’esercito ucraino, minando la fiducia dei soldati e della popolazione.

‘Volonterosi’, Ue e armamenti

Anche con il supporto della NATO, l’Occidente fatica a tenere il passo con la produzione militare russa. E il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca aggiunge ulteriori incognite con l’amministrazione orientata a ridurre l’impegno in Ucraina, spingendo per negoziati che potrebbero ridisegnare gli equilibri del conflitto. Questo cambio di rotta mette in discussione la strategia occidentale, che finora si è basata su un sostegno militare massiccio ma non sempre efficace.

Prospettive diplomatiche

Con l’avvicinarsi dell’estate, il conflitto si trova a un bivio cruciale. Le discussioni dirette tra Trump e Putin lasciano intravedere la possibilità di un accordo. Ma la Francia, la Gran Bretagna e con toni preoccupantemente truculenti la Germania, e parte dell’Unione Europea sembrano riluttanti ad accettare un compromesso. Escluse dai negoziati, queste voci trovano eco nei media e nei circoli democratici americani, ancora ostili a Trump. La retorica bellicosa di Bruxelles, però, di fatto, non è sostenuta da una reale capacità militare.

Analista categorico: «La proposta di Emmanuel Macron di ‘condividere’ l’arsenale nucleare francese appare più come un gesto simbolico che una strategia concreta, tanto più che la sua credibilità internazionale è in declino, sia in Francia che all’estero».

Cessate il fuoco o escalation?

Lo scenario più probabile per il 2025 è un cessate il fuoco basato sui confini amministrativi dei quattro oblast annessi dalla Russia nel 2022, sostengono molte parti politico-diplomatiche. Scambi territoriali possibili sul campo ma con l’Europa di fronte a una scelta cruciale: «continuare a inseguire una vittoria militare irrealistica o accettare una soluzione negoziata che preservi la stabilità continentale». Ma certi toni nazionalisti di leader politici in crisi di consensi elettorali, e i compromessi interni all’Unione, non rassicurano.

Europa, o si cambia o sono guai

Nonostante le difficoltà, c’è spazio per l’ottimismo, almeno per l’analisi della ‘nostra fonte’, Giuseppe Gagliano. Noi un po’ meno ottimisti, facciamo il tifo per lui. Un cessate il fuoco entro il 2025, basato su un compromesso territoriale e su garanzie di sicurezza, potrebbe porre fine alla fase più acuta del conflitto.

Ma il problema politico difficile da risolvere imporrebbe un cambio di mentalità da parte dell’Europa, che dovrà abbandonare la retorica bellicosa e accettare la realtà di un mondo multipolare. E i nomi che incontriamo per strada, da Von der Leyen a Starner, Merz, Macron o Meloni –per non parlare di Trump-, non ci rassicurano. Tentazioni alla Netanyahu per sopravvivere politicamente? Non così in basso. Convinti come siamo che solo la strada della negoziazione, per quanto complessa, resta l’unica via praticabile per garantire la stabilità a lungo termine.

 

Condividi:
Altri Articoli
Remocontro