
Il rapporto punta quindi i riflettori sui tre maggiori contendenti, a partire da chi la guerra l’ha dichiarata, gli Stati Uniti. L’elenco dei danni relativi alla girandola sui dazi si conclude con una grigia previsione di riduzione dello 0,3% in due anni della produzione economica globale.
La Cina, invece, crescerà del 4,7% quest’anno e del 4,3% nel 2026, con una variazione minima rispetto alle precedenti previsioni del 4,8% nel 2025 e del 4,4% nel 2026.
Le prospettive per l’area dell’euro rimangono invariate rispetto a marzo, con una crescita prevista dell’1,0% quest’anno e dell’1,2% l’anno prossimo, -mercati del lavoro e tagli dei tassi di interesse-, mentre una maggiore spesa pubblica da parte della Germania (verso cosa? Ndr), dovrebbe sostenere la crescita nel 2026.
L’Outlook dell’Ocse viene pubblicato a ridosso della richiesta degli Usa ai Paesi partner di presentare le migliori offerte commerciali in vista di una scadenza imminente per la revisione delle tariffe. Se di richiesta si può parlare a fronte dei proclami e delle minacce che accompagnano le negoziazioni di Trump. L’impressione di molti osservatori è che il protrarsi di queste tattiche negoziali ha provocato un cambio di passo alle controparti.
La prima è la Cina che già aveva risposto duramente all’inizio con i contro-dazi. Negli ultimi giorni Trump ha rilanciato sul suo media Truth messaggi secondo cui «le tensioni tra Stati Uniti e Cina stanno tornando a crescere» perché la Cina starebbe «tardando ad attuare l’accordo stabilito a Ginevra il mese scorso». Il Wall Street Journal ha anche affermato che «la tregua commerciale tra Stati Uniti e Cina rischia di sgretolarsi». Di rimando Pechino ha annunciato, sull’organo del partito comunista in lingua inglese Global Times, la possibilità di annullare la sospensione dei dazi concordata negli incontri di Ginevra del mese scorso.
Insomma, la Cina sta facendo la voce grossa e l’editoriale del Global Times conclude severo: «Il consenso raggiunto nei colloqui di Ginevra è stato conquistato a fatica; ciò che gli Stati Uniti dovrebbero fare ora è rispettare i propri impegni, invece di dire una cosa e farne un’altra».
Anche l’Europa sembra che stia valutando di andare al vedo con i bluff di Taco Trump. L’acronimo, che significa letteralmente “Trump fa sempre marcia indietro” è stato coniato lo scorso 2 maggio dal columnist del Financial Times Robert Armstrong e racchiude la sintesi del pensiero di tutti i negoziatori in campo.
Il quotidiano economico tedesco Handelsblatt ha rivelato in esclusiva di essere entrato in possesso di un documento interno, un’agenda governativa franco-tedesca sul tema della riduzione della dipendenza dalle potenze straniere. Il principio guida del documento governativo di quattro pagine parte dalla batosta ricevuta con il gas russo fino al rischio dazi di Trump, per l’appunto. Germania e Francia, scrive Handelsblatt, fanno riferimento ad una sorta di ‘reset’ del tradizionale asse Parigi- Berlino per rilanciare la politica economica della Ue e opporsi a quella degli Stati Uniti.
Se, nel bene o nel male, Merz riuscirà a far decollare il suo piano di riarmo la Germania può ritornare ad essere la locomotiva d’Europa. Per riuscire s’intende riconvertire settori industriali decotti, come ormai lo sono ampi comparti della produzione automobilistica, dove a maggio è crollata la fiducia delle aziende e garantire il livello di protezione sociale che ha contraddistinto la politica tedesca assicurandone il consenso.
Lo scoop del quotidiano degli industriali tedeschi non lo cita, ma è lecito scommettere che il piano franco-tedesco preveda anche nuovi colloqui tra Bruxelles e Pechino. Di certo un progetto ambizioso in una situazione di stallo, poiché oggi la Bce taglierà i tassi per l’ottava volta. Si torna al 2%, tasso che la banca centrale considera un livello ‘neutrale’, che non stimola né frena l’economia.