
Un taglio delle tasse ai redditi alti, finanziato con il debito pubblico e con robusti tagli al ‘Medicare’, la sanità di base per oltre 60 milioni di cittadini delle classi meno abbienti. Altri tagli sono previsti nel settore dell’istruzione. In Europa assistiamo da anni a leggi finanziarie che hanno il medesimo obbiettivo di ridurre le tasse e lo fanno pressoché nello stesso modo, aumentando il debito e tagliando i servizi sociali.
Coloro cioè che hanno superato la soglia dei 100 miliardi di dollari di patrimonio. I centimiliardari non esistevano prima di 8 anni fa. Nell’elenco che ha stilato Bloomberg appaiono i soliti noti della tecnologia (Musk, Bezos, Zuckerberg, Gates). Tutti americani, ad eccetto del francese Bernard Arnault (LVMH) 152 miliardi di dollari, lo spagnolo Amancio Ortega (Zara) con 106 miliardi di dollari e un indiano, Mukesh Ambani (industria petrolifera Reliance) 104 miliardi di dollari.
A valle di questo olimpo di miliardari c’è un ampio strato di ricchezza che negli Usa e in Europa gode di una riduzione costante della tassazione a fronte di politiche nazionali che aumentano il debito pubblico e fanno macelleria sociale.
Anche l’Italia fa la sua parte offrendo la residenza a 4.500 milionari stranieri attratti dalla flat tax che consente di pagare un’imposta fissa annuale di 200mila euro su tutti i loro redditi di fonte estera e che derivano da patrimoni che valgono diversi miliardi di euro. Milano è la terza città europea per numero di milionari: ce ne sono 115mila. Ma è negli Stati Uniti che si concentra l’ultra ricchezza mondiale. Nel suo podcast ‘Blackbox la scatola nera della finanza’, Guido Brera ha calcolato che dieci persone del ceto medio americano impiegherebbero 724mila anni a guadagnare quanto hanno guadagnato in un solo anno i dieci uomini più ricchi degli Stati Uniti.
Il modello ha origini nella ‘rivoluzione economica’ di Reagan e la Tacher degli anni ’80, quando si è sviluppata la teoria economica dello «gocciolamento della ricchezza» (trickle down). La teoria dell’economista consigliere di Reagan Arthur e degli economisti di Chicago presuppone che una riduzione delle tasse per i ricchi, le imprese e i capitali, porterà a un aumento degli investimenti, della produzione e dell’occupazione, «benefici che alla fine ‘goccioleranno’ verso i meno abbienti».
Seppure in un contesto geopolitico e del commercio internazionale mutato, si è continuato per quarant’anni con la riduzione progressiva delle tasse ai grandi patrimoni, di benefici fiscali a ricchi e imprese, riproducendo sostanzialmente la stessa ricetta economica. Il risultato è l’aumento indiscriminato di patrimoni che continuano ad essere tassati molto meno dei redditi generati dagli stipendi dei cittadini, che sono quasi sempre redditi da lavoro. Il risultato è che le imposte finiscono per essere regressive, e non più proporzionali.
La consapevolezza che un modello economico così concepito sta diventando insostenibile, lo dimostra il paradosso rappresentato dai Patriotic Millionaires. 370 miliardari e milionari di 22 Paesi che hanno costituito un’associazione che propone di auto-tassarsi per il 2% della propria ricchezza, al fine di ridurre le diseguaglianze sociali. Dietro a iniziative del genere si nasconde la madre di tutti i problemi e tutte le paure: il debito. Il taglio delle tasse promesso dal beautiful bill di Trump, così come i benefici fiscali offerti dai governi europei sotto forma di una giungla di bonus e incentivi, si ottiene aumentando il debito pubblico. E se gli Stati sono sommersi dal debito, allora cominciano i problemi.
I servizi pubblici diventano scadenti, le liste d’attesa negli ospedali si allungano, le infrastrutture invecchiano e diventano inutili. E i cittadini perdono fiducia nello Stato e nei sistemi democratici. Dall’America della Trumponomics alle grandi economie dell’Unione Europea il passo è breve e insostenibile. Un esempio per tutti lo offre la seconda economia più indebitate d’Europa, l’Italia. Quanto può durare un Paese in cui il 60% dei cittadini paga zero tasse e in cui tutto il carico fiscale è sulle spalle del 17% della popolazione che dichiara redditi da 35 mila euro lordi l’anno in su?